Chi siamo

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Siamo Free Palestine Roma, una rete composta da collettivi ed individualità antirazziste al fianco di chi lotta in Palestina contro l’occupazione sionista e la sua normalizzazione, il progetto di espansione coloniale e il muro dell’Apartheid.

Abbiamo iniziato a portare la nostra solidarietà attiva nei Territori  Occupati e nella Striscia di Gaza attraverso la campagna “Sport Sotto l’Assedio”, organizzando e partecipando alle carovane che ogni anno  hanno attraversato la Palestina, utilizzando lo sport come strumento  di scambio e di lotta. L’idea  era quella di voler dare un calcio al muro ed abbattere ogni forma di oppressione.
Non siamo pacifisti né pacifiste e pensiamo che all’arbitrarietà del  potere le uniche risposte siano l’auto-organizzazione delle lotte e  l’autogestione diffusa dei territori. Non siamo andati a predicare la  nostra “verità”, non abbiamo niente da insegnare a nessuno, men che  mai a chi, donne e uomini palestinesi, resiste quotidianamente alla prevaricazione dell’occupante. La dignità e le lotte che abbiamo incontrato in Palestina ci hanno insegnato che per rompere ogni complicità politica, militare, economica e la violenza che questa  produce, l’impegno e il supporto alla popolazione palestinese devono
essere quotidiani anche nel paese in cui si vive.

Da questo punto di vista, ciò che si sta realizzando in Palestina è  emblematico di dinamiche più generali che sono all’opera anche da noi.

Frantumazione continua dei legami sociali, produzione pianificata di  ghetti, privatizzazione di qualsiasi spazio pubblico attraverso  occhiute norme disciplinari. Creazione di una sempre maggiore  popolazione superflua, da candidare all’ipersfruttamento e che serve a  giustificare la sempre crescente militarizzazione della società. Da qui la nostra netta opposizione a qualsiasi forma di razzismo, fondamentalismo religioso, sciovinismo nazionalista.

Essere a fianco della popolazione palestinese sotto occupazione è per  noi la logica conseguenza anche del nostro antifascismo.
Antifascismo che non trae la sua ragion d’essere dall’esistenza o meno  di gagliardetti, croci uncinate o camice nere, ma dalla consapevolezza  che dietro ogni forma di discriminazione si nasconde la logica  autoritaria della difesa dei privilegi per pochi, dello sfruttamento  per i più e dell’ingiustizia generalizzata.
Solidali con i palestinesi, non lo siamo con chi, governi od  organizzazioni politiche, strumentalizza la loro lotta per portare  avanti una politica di potenza e per legittimare la repressione interna.
La nostra solidarietà non è su basi etniche o nazionaliste ed è per  questo che siamo a fianco anche di chi in Israele, ebreo o palestinese  del ‘48 che sia, quotidianamente si batte contro le politiche  autoritarie e razziste di quello stato e che, come noi, appoggia la  campagna internazionale di Boicottaggio Disinvestimento e Sanzioni.

Il 9 luglio del 2005 la società civile palestinese ha lanciato un appello per il boicottaggio, il ritiro degli investimenti e l’applicazione di sanzioni contro lo stato di Israele fino a quando esso non rispetterà  il Diritto Internazionale ed i Principi Universali dei Diritti degli esseri umani.
Accogliendo questo appello abbiamo moltiplicato le  iniziative di informazione e azioni dirette davanti a supermercati quali Carrefour, Panorama, Ipercoop, Auchan e parlato agli studenti  riguardo al boicottaggio del CTS, responsabile di contribuire ad  affermare un’immagine d’Israele come luogo piacevolmente turistico  omettendo la natura espansionista e capitalista.

Per rendere più efficace la campagna BDS abbiamo aderito alla Rete  Romana di Solidarietà per la Palestina che ci ha visti lavorare insieme sulla campagna Stop Agrexco e per la rottura dell’embargo a Gaza.

Antifascisti sempre, antirazzisti comunque respingiamo al mittente le  accuse ipocrite di antisemitismo. Ipocrite perché coloro che ce le rivolgono sono gli stessi che portano avanti politiche razziste contro i “diversi”. Sono gli stessi, (post) fascisti e (neo) democratici che con politiche securitarie, alimentano una guerra tra poveri per meglio garantire lo strapotere di speculatori e palazzinari. A loro non abbiamo niente da chiedere se non il silenzio.
Ma abbiamo molto da dire.

Rifiutiamo tutte quelle politiche che costruiscono la propria egemonia su  basi etniche, classiste e che abbiano impostazioni gerarchiche e militari.  E’ questo il nostro modo di definire lo Stato d’Israele, è questo il  nostro modo di definirci antisionisti e mai antisemiti.

Nella West Bank, sono circa 100.000 le  famiglie che  dipendono dalla vendita delle olive. Oggi, la raccolta  delle olive  permette agli agricoltori palestinesi di guadagnare fra il  25 e il 50  per cento del proprio reddito annuale e mentre la crisi  economica va  aggravandosi, la raccolta delle olive è uno strumento per  l’autosostentamento. La raccolta delle olive (pdf) presenta in genere ogni  anno una grossa difficoltà dovuta alla presenza dei coloni che  circondano la maggior parte dei villaggi e delle terre coltivate dai  palestinesi.
Inoltre, quando sarà completato il muro, dei nove milioni  di alberi di ulivo censiti nei Territori Occupati, un milione sarà  irraggiungibile con terribili conseguenze economiche ed ambientali per  il popolo palestinese.
Secondo un’ordinanza dell’Alta Corte israeliana, la violenza dei  coloni non è un motivo sufficiente per chiudere loro l’accesso ai  terreni, invece, in molti casi, si è ugualmente scelto di proibire la  raccolta nelle aree a rischio. Inoltre secondo una vecchia legge che
risale al periodo dell’Impero Ottomano, Israele reclama come proprietà  di stato la terra che è stata “abbandonata” e lasciata incolta per un  periodo di almeno quattro anni  e questa terra viene quindi assegnata  nella maggior parte dei casi ai coloni ebrei.

Naturalmente la terra non è stata abbandonata volontariamente ma a causa dell’occupazione militare, dei check point, del muro, dei permessi arbitrari, degli arresti preventivi  e delle incursioni notturne che rendono ancora più  inaccessibile il lavoro della terra. Inoltre, dall’alto delle loro  colline, le aggressioni dei coloni aumentano proprio nel periodo dellaraccolta delle olive. Oltre a quelle militari, i coloni si dilettano nell’incendiare centinaia di dunum, tagliare gli alberi, rubarne i  frutti maturi.
In  genere le famiglie si organizzano collettivamente per raccogliere  tutti insieme i frutti della terra, difendendosi dagli attacchi. Per  questo anche la richiesta ai solidali di confluire per accelerare il  lavoro.
Noi continueremo ad organizzarci per garantire la nostra presenza e  in questo senso
abbiamo la volontà di metterci in rete con altre realtà  autorganizzate.

Per info scrivici freepalestineroma [at] autistici [.] org