Un invito a chi legge: i prodotti Ahava sono in vendita anche in Italia, sono fra i migliori prodotti in Israele, non compriamoli e invitiamo a fare altrettanto. Non finanziamo l’economia di guerra.
Da il foglio 19 dicembre:
L’appuntamento per tutti è il 19 dicembre, alle ore 14, davanti al
negozio Ahava di Covent Garden, al centro di Londra. Si celebrerà
l’International day of action against Ahava. Non c’è azienda al mondo
boicottata quanto la produttrice di cosmetici con i sali del Mar Morto.
Organizzazioni pacifiste come le “Donne per la pace”, che hanno
riempito le strade europee durante gli anni più bui della guerra in
Iraq, hanno trovato in Ahava il nuovo nemico ideologico. Persino i
governi europei in questi giorni si stanno occupando di quest’azienda
il cui nome in ebraico significa “amore” e che sorge nel kibbutz di
Mitzpe Shalem, nei pressi del Mar Morto. Due giorni fa a Covent Garden
il negozio di Ahava ha dovuto chiudere a causa delle incursione
squadriste dei manifestanti. E’ stato un danno ingente per la compagnia
nel periodo natalizio intenso di affari. Da oltre un anno decine di
donne in bikini, appartenenti all’associazione pacifista Code Pink,
hanno manifestato dentro e davanti ai negozi di cosmetici di Washington
e delle capitali europee che vendono prodotti Ahava, etichettati
“Israele” e realizzati in un minuscolo kibbutz ebraico oltre la Linea
verde. Di solito le donne si cospargono di fango e scrivono “Ahava is a
dirty business” (Ahava è uno sporco affare). Ahava è l’azienda
israeliana più inquisita al mondo.Non è difficile da attaccare quanto Caterpillar e Motorola, i due
colossi boicottati a livello internazionale per i legami con Israele.
Il poster più celebre della campagna contro il gruppo mostra una donna
occidentale dalla pelle bianchissima al cui fianco c’è una palestinese
dalla pelle logorata. La chiamano “Bellezza rubata” perché i laboratori
di Ahava sorgono in un insediamento. Ahava è in cima anche alla lista
dei prodotti da boicottare diffusa dalla comunità cristiana di base di
Chieri, in Piemonte. Assieme a marchi come Calvin Klein e Intel. Lo
stesso vale per uno storico sindacato francese, la Confédération
Nationale du Travail, che ha appena lanciato il boicottaggio d’Israele.
Persino il governo olandese ha aperto un’inchiesta per stabilire se
Ahava debba godere dei privilegi fiscali accordati alle merci
straniere. Il ministro degli Esteri olandese, Maxime Verhagen, ha
chiesto a una commissione di stabilire se l’azienda di cosmetici abbia
commesso “una frode” avvalendosi del marchio “made in Israel”. La loro
vendita sarebbe una violazione delle Convenzioni di Ginevra e da anni
se ne chiede la cessazione della commercializzazione. Ma come ha
spiegato Jonathan Tobin sul mensile Commentary, è falso dire che Ahava
sorge in “territorio occupato”: “L’area del Mar Morto era deserta prima
che gli ebrei ci tornassero nel XX secolo. Nessun palestinese ha mai
lavorato quelle risorse naturali”. Lo ha spiegato anche Daniel Seaman,
a capo dell’ufficio stampa del premier israeliano Netanyahu, che pure
ha congelato la costruzione di nuovi insediamenti: “I palestinesi non
ci hanno fatto niente con questa terra e avrebbero un accesso al Mar
Morto”. L’idea di Ahava è venuta a una donna del kibbutz, Ziva Gilad,
quando nel 1988 notò alcune turiste cospargersi con il fango del Mar
Morto. Oggi il 20 per cento del capitale Ahava è posseduto dalla
famiglia Disney. I guai iniziarono nel 2002, quando il superstore
Harrods di Londra bandì i prodotti di Ahava. Oggi i danni più ingenti
all’azienda provengono dal gruppo “Boycott, Divestment, Sanctions
movement”, diretto dal palestinese Omar Barghouti, che dice: “Il nostro
momento ‘sudafricano’ è arrivato”. Contro Israele si deve organizzare
lo stesso boicottaggio che avvenne contro l’apartheid sudafricana. I
primi a subirne le reali conseguenze sarebbero le decine di operai
palestinesi che da anni lavorano nei laboratori di Ahava e che hanno
manifestato contro il boicottaggio d’Israele. La vittima più famosa
dell’inquisizione contro Ahava è l’attrice di Sex and the city Kristin
Davis. L’organizzazione umanitaria Oxfam, per la quale da anni la Davis
è “ambasciatrice globale”, ha deciso di smettere di usarla come sponsor
dopo che l’attrice aveva deciso di fare pubblicità all’azienda
israeliana dei cosmetici. A Londra il ministero degli Esteri
britannico, in collaborazione con il Defra, il ministero
dell’Alimentazione e degli affari rurali, ha appena chiesto per la
prima volta a tutte le catene di supermercati inglesi di modificare le
etichette che attualmente indicano “prodotto della Cisgiordania”,
rendendo più specifico se sia un “prodotto palestinese” o un “prodotto
degli insediamenti israeliani”. Ahava è in cima alla lista. L’obiettivo
del decreto sarebbe quello di “permettere ai consumatori di scegliere
quale prodotto acquistare”. Ma in un paese ad altissimo tasso di
antisionismo come l’Inghilterra, la decisione equivale a lanciare un
pesante boicottaggio antisraeliano. Il governo Netanyahu accusa Londra
di demonizzare l’intero “made in Israel”. Altro che “coloni”. Da sempre
il capitale di Ahava è detenuto al 60 per cento da alcuni kibbutz, il
simbolo del collettivismo israeliano di sinistra. Chi boicotta Ahava
non vuole quindi altro che strangolare l’economia d’Israele. Basti
pensare che persino alla grande manifestazione di Roma contro il
razzismo di due mesi fa campeggiava presso il Campidoglio, più grande
di tutti gli altri, uno striscione che proclamava: “Boicotta Israele”.
Durante la guerra a Gaza dello scorso gennaio, l’idea di boicottare
Ahava e altri prodotti israeliani era venuta anche a un centinaio di
soci equo-solidali della Coop.
ciao per ora non abbiamo aggiornamenti ma puoi seguire tutta la campagna a questo link – http://www.stolenbeauty.org/
Ho letto l’articolo, è molto interessante.. però ho visto che è del Natale 2009.
Ci sono aggiornamenti sulla questione Ahava?