La decisione della Unilever Israel Food di spostare lo stabilimento della Beigel and Beigel, una delle più famose aziende dolciarie (produce pasticcini, pretzel e snack) dalla zona industriale Barkan (in territorio palestinese occupato) al’interno dello Stato di Israele, è il risultato delle enormi pressioni subite dalla Unilever International. Il 51% degli utili della Beigel and Beigel sono infatti dal 2001 della Unilever, mentre il 49% resta in mano alla famiglia Beigel (dati Whoprofits.org). Lo stabilimento della Beigel and Beigel si trova nell’area industriale Barkan, su terra confiscata a diversi villaggi palestinesi da un ordine militare emesso dall’esercito israeliano che nel 1981, dichiarò tutta la zona “terra dello stato”. La Beigel inoltre beneficia dei sussidi con cui il governo israeliano finanzia e sostiene le zone industriali negli insediamenti e ha anche ricevuto fondi governativi per un piano di espansione. Tanto per fare un esempio, il costo degli affitti o dell’acquisto degli spazi adibiti a stabilimento, è circa la metà rispetto a quelli all’interno di Israele.La Unilever Israel Food, una delle più grandi industrie israeliane di prodotti alimentari (tra le marche più famose, oltre a Beigel, Lipton e Knorr) e cura del corpo, con un fatturato annuo di 400 milioni di dollari, è controllata dal gruppo anglo-olandese Unilever Corporation. Nel 2008, la Unilever International, in seguito alle pressioni dei gruppi che sostengono la campagna BDS, annunciò di voler disinvestire dalla Beigel and Beigel, come conseguenza anche dell’impossibilità a commercializzare presso i negozi inglesi, generi alimentari prodotti nelle colonie. Ma il gruppo non riuscì allora a vendere la propria parte di azioni.
Il merito del successo attuale si deve anche all’organizzazione olandese United Civilians for Peace (UCP) che nel 2006 pubblicò un report dal titolo “L’economia olandese legata all’occupazione della Palestina e dei territori siriani”, iniziando un dialogo costruttivo con il gruppo Unilever Olanda sulle implicazioni etiche degli investimenti nell’area di Barkan.
Secondo un articolo apparso nel 2008 sul Guardian, che cita il report accurato di UCP , “il 45% dei 140 lavoratori della Beigel and Beigel sono palestinesi residenti nei villaggi circostanti, la cui terra è stata confiscata per la costruzione dell’intero insediamento industriale. La maggior parte di loro lavora nella catena di montaggio e contrariamente agli standard Unilever, non vengono pagati secondo il salario minimo previsto dalle regolamentazioni in vigore in Israele.” Molti lavoratori sono pagati per 46,5 ore a settimana ma in realtà arrivano fino alle 50 ore senza ricevere alcuna compensazione.
Unilever inoltre supporterebbe direttamente la colonia di Ariel, uno dei più grandi insediamenti illegali in Cisgiordania (circa 30.000 coloni), pagando le tasse al consiglio regionale Shomron, che in cambio fornisce servizi quali lo smaltimento dei rifiuti, all’intera area Barkan.
Le oltre 100 compagnie che hanno i loro stabilimenti nella zona di Barkan, impiegano circa 6000 lavoratori, tra cui – secondo i dati ufficiali – più della metà è palestinese. Nonostante un provvedimento della Corte Israeliana del 2007 preveda che la paga media oraria sia di 10 shekel (circa 2 euro), i datori di lavoro hanno inventato metodi creativi per sottopagare la manodopera, primo fra tutti ingaggiare i lavoratori attraverso una parte terza, palestinese o israeliana. Secondo i dati del PGFTU, il più rappresentativo sindacato palestinese, i “sub-appaltatori” intascherebbero almeno il 40% della paga giornaliera di un lavoratore. (Nena News)