Da opinionista
Il punto non è vincere. Il punto è resistere fino alla fine” (Khaled)
Sono stato a Gaza nel 2007, ben 51 anni dopo i fatti narr ati da Joe Sacco nel suo Gaza 1956, un reportage storico di un autore che probabilmente segna il punto più alto della sua carriera giornalistica-fumettistica, proprio con questo volume. Un lavoro immenso per dare luce a due massacri (si parla di 257 morti), avvenuti nel lontano 1956 nelle città palestinesi di Rafah e Khan Younis. Due stragi che Joe ricostruisce meticolosamente attraverso le testimonianze dei sopravvissuti e un lavoro di ricerca straordinario. Il tutto viene raccontato attraverso innumerevoli tavole che danno vita a un gran fumetto.
“Le graphic novel sono un mezzo formidabile di espressione. I disegni hanno la capacità di attrarre un pubblico vastissimo di lettori incuriosendolo ma anche invitandolo a pensare. Per me è importante trasmettere l’emozione dei posti che racconto, voglio che il lettore apra il libro e si trovi realmente nel posto che io sto raccontando. Con una graphic novel puoi letteralmente portare i lettori a casa dei protagonisti delle vicende che hai messo sulla pagina. Il lettore ha subito un’immagine precisa della storia che vuoi raccontare e dei personaggi che ne sono protagonisti”.
A Gaza ci sono stato nel 2007, per un progetto che allora si chiamava Sport Sotto Assedio, poche settimane prima che Hamas prendesse il controllo completo della Striscia e che Israele chiudesse definitivamente i confini e che blindasse quel milione e mezzo di disperati, uomini e donne colpevoli solo di essere palestinesi. Conosco alcuni di quei luoghi e il caos che si respira.
Note a margine della storia è il sottotitolo che da Joe Sacco a questo lavoro. Note a margine perché queste due stragi non fanno parte della storia palestinese, troppo veloce, troppo densa di fatti di sangue e di massacri per poter ricordare tutto. I fatti sono sempre in movimento affermano gli abitanti di Gaza, non c’è tempo di metabolizzare una tragedia perché viene sostituita subito da un’altra.
“Quando scrivi certe storie devi sentirti molto responsabile per raccontare la storia di quelle persone in maniera precisa. Voglio trasmettere ai lettori le sensazioni che i testimoni provano quando mi raccontano la loro vita. Voglio mostrare nei miei libri come queste persone a distanza di anni soffrano ancora per le conseguenze di certi terribili eventi soprattutto quando si tratta di persone anziane che hanno visto l’evolversi nel tempo di certe situazioni”.
“Qui il 1956 è ogni giorno. Il 1956 è morto. Il 1956 è per mia nonna e mio nonno.” Gli urla contro un padre infastidito dalla ricerca di Joe Sacco. A Khan Younis, come negli altri campi profughi palestinesi è guerra ogni giorno. Le incursioni israeliane così come gli omicidi mirati, non sono mai terminati.
Il libro di Joe Sacco è stato scritto nel 2001, quasi ben 10 anni fa e nonostante le note di aggiornamento, è completamente superato dalla storia stessa. Neanche due anni fa, sulla popolazione palestinese si è abbattuta l’operazione Piombo Fuso, probabilmente la più grande tragedia mai vissuta per i disperati ma sempre dignitosi e orgogliosi palestinesi.
Voglio scrivere poco di questo libro perché deve essere e rimanere un invito alla lettura. E’ un’opera importante che vale i 20 euro del prezzo. Gaza 1956 è la storia di Gaza del 1967, o quella del 2001 o quella che ho visto io nel 2007 così come quella che nel 2009 è stata bombardata, violata e violentata per 45 giorni dall’esercito israeliano. Il lavoro di memoria e di ricerca di Sacco, oltre a essere uno splendido esempio di come funzionino certi meccanismi, dimostra proprio questo. Un’occupazione che dura da decenni, che ha seminato odio e rancore per generazioni. Un punto di non ritorno da cui probabilmente non ci si può sottrarre. Come dice Khaled, combattente palestinese, il punto è resistere fino alla fine.