Tradotto da Stop Agrexco Italia
Fonte: Palestine Chronicle
(Trascrizione completa. Estratti di questo discorso sono stati presentati presso l’Università di Sydney in Australia durante la Settimana contro l’Apartheid israeliano, 2012.)
Vorrei parlare di normalizzazione. Ho trovato la migliore definizione del termine “normalizzazione” sul sito per la Campagna Palestinese per il boicottaggio culturale e accademico:
“La normalizzazione è la colonizzazione della mente, per cui il soggetto oppresso arriva a credere che la realtà dell’oppressore è l’unica realtà ‘normale’ da sottoscrivere, e che l’oppressione è un fatto della vita che deve essere sopportato.”
Quindi, i progetti che costituiscono normalizzazione non riguardano libertà, giustizia e liberazione, ma cercano di anestetizzare le nostre menti all’orrore dell’occupazione, in modo da accettarlo come normale, permanente, un’immutabile realtà fissa!
Progetto tipici di normalizzazione vedono palestinesi e israeliani insieme per parlare di come accettarsi gli uni degli altri per ridurre l’odio che alimenta il conflitto! Ma senza prendere provvedimenti di alcun tipo per cambiare l’ambiente che crea l’animosità. Come se la resistenza palestinese fosse nata dalle emozioni di odio e non da atti di oppressione, dalla rabbia irrazionale e non dall’esproprio, dall’ostilità insensata e non da atti di pulizia etnica!
Promotori della normalizzazione vorrebbero farci credere che le loro cosiddette iniziative congiunte di pace sono la prova definitiva per distinguere fra un moderato e un terrorista. Un moderato si farebbe coinvolgere, coopererebbe, sarebbe per la riconciliazione e la co-esistenza, ma non contesterebbe direttamente l’oppressione. Un moderato avrebbe imparato a convivere con lo status quo e tollerarlo. Chi rifiuta lo status quo e si adoperi per cambiarla non è interessato alla pace, è pieno di odio, è un radicale, ed è un terrorista. E fintanto queste etichette vengono propagandate, sperano che la gente si faccia intimidire fino all’acquiescenza.
Una caratteristica importante dei progetti di “normalizzazione” è di creare l’illusione di simmetria, sostenendo l’idea che palestinesi e israeliani condividono le stesse responsabilità e che entrambe le popolazioni sono prigionieri di questa lotta che va avanti da tempi immemorabili. Si sforzano di convincerci che le due popolazioni hanno semplicemente due narrazioni differenti, riducendo i fatti alla finzione e la realtà alla narrazione. Insistono che se ascoltiamo entrambi i racconti allora troveremo che la verità sta da qualche parte là fuori, in un mondo astratto, forse in una terza versione che deve ancora essere raccontata.
Come vecchi che si scambiano panzane mentre prendono un caffè turco per passare il tempo in un luogo dove nessuno si preoccupa della verità o delle conseguenze, noi palestinesi siamo invitati a sederci con israeliani e ascoltare i loro racconti mentre ascoltano i nostri ed ecco tutto fatto! Tornano alle loro città vivaci che una volta portavano nomi arabi, e noi torniamo dietro il muro dove nulla cambia, salvo che i nostri Bantustan continuano a ridursi con ogni giorno che passa!
Sottoscrivere a questa idea di ‘narrazione’ vuol dire cancellare la nostra memoria collettiva e chiudere gli occhi alla nostra realtà presente. Vuol dire dimenticare la storia, le date, i numeri, i documenti delle Nazioni Unite, i rapporti sui diritti umani, i villaggi distrutti e i campi pieni di sfollati e profughi del 1948. Vuol dire dimenticare tutte le prove concrete perché, alla fine, tutto si riduce a raccontare storie e narrazioni.
E mentre si parla di qualche incombente minaccia esistenziale dovremmo dimenticare che è la Palestina che è stata cancellata dalla cartina geografica, e che i palestinesi sono quelli che lottano ogni giorno per il loro diritto di semplicemente esistere sulla loro terra.
Forse sperano che dopo qualche seduta di scambi di narrative ci renderemo finalmente conto della necessità di sparare un candelotto di gas lacrimogeni in faccia ad un manifestante disarmato. Oppure che un paio di partite di calcio dove alcuni giocatori palestinesi sfilano in campo ci farebbe finalmente capire perché bombe da una tonnellata devono cadere sui rifugiati a Gaza. E forse, se partecipiamo insieme ad un campo estivo per conoscerci l’uno e l’altro, avremo finalmente capito tutto e ci scuseremo per non esserci tranquillamente messi da parte quando hanno preso le nostre case a demoliti i nostri villaggi.
Il messaggio trasmesso dai progetti di normalizzazione è consistente: noi israeliani dobbiamo fare quello che facciamo perché VOI CI COSTRINGETE A FARLO e l’unico modo per rallentarci (non fermarci) è se ci date l’idea che vi piacciamo e se ci fate sentire sufficientemente sicuri. Ora, se scegliete di essere bravi palestinesi, partecipate a queste iniziative e fermate quest’idiozia della resistenza, forse allora, vi porteremo nella casa dei moderati in cui, è vero, non potete mangiare con noi in sala da pranzo, ma almeno vi facciamo entrare dal freddo e vi permetteremo di sedervi per terra in cucina al caldo, dove è sicuro.
Quindi questo è il modo in cui cercano di colonizzare le nostre menti e obbligarci di accettare la disuguaglianza. Si aspettano che scambiamo la nostra libertà per delle briciole di pane e di ridurre la nostra esistenza al solo far fronte a questa realtà deformata.
E mentre vivono nelle loro torri alte nella terra della narrativa, non ci vedono marciare attraverso i nostri campi in cui gli ulivi piantati dai nostri antenati sono stati strappati dalla terra dalle loro mani? Le radici tagliate che sporgono come arti amputati, che si svuotano di vita, emanando odore di speranze e sogni infranti. Se semplicemente fermassero il rumore dei loro bulldozer per un solo minuto, potrebbero finalmente sentire quel suono straziante che la terra fa quando piange sotto i loro piedi.
Se cessassero il fuoco, spegnessero i motori dei carrarmati e abbassassero le armi, potrebbero finalmente sentire le nostre voci. Cantavamo forte e chiaro! Gli abbiamo detto che sono benvenuti a venire e co-resistere con noi per abbattere questo brutto sistema di dominazione. Gli abbiamo detto: se volete conoscerci, venite a marciare con noi contro il muro. Venite con noi a fermare i bulldozer. Venite a trovarci nelle nostre prigioni. Proteggeteci dalle pietre che i coloni ebrei lanciano ai nostri figli.
L’abbiamo detto forte e chiaro: non co-esisteremo con voi nel vostro mondo di disuguaglianza. Se volete co-esistere con noi, siete benvenuti ad unirvi a noi nella nostra lotta per la libertà, perché in questo momento, questo è l’unico posto dove noi esistiamo!
Riconosciamo i loro tentativi di coprire l’oppressione. Nessun video di propaganda sul loro Stato, presunto amante gay e democratico, cambierà la realtà che ogni famiglia palestinese conosce, detenzioni arbitrarie, torture nelle prigioni, sfratti e demolizioni delle case.
Nessuna sofisticata campagna di “Brand Israele” potrà mai spiegare perché una donna a Gerusalemme è crollata in ginocchio, abbattuta sul marciapiede, con i pezzi della sua vita sparsi per terra, mentre coloni ebrei guardano attraverso le finestre di quella che fu la sua casa.
Non c’è niente di normale in questo! Non c’è niente di normale in tutto ciò!
Non c’è niente di normale nel condannare bambini di nove anni nei tribunali militari. Non c’è niente di normale nel costringere le donne incinte a partorire ai posti di blocco. Non c’è nulla di normale nel bloccare un milione e mezzo di persone a Gaza, poi bombardarli a piacimento sapendo che non hanno nessun posto dove correre e nessun posto dove nascondersi. Non c’è niente di normale nel sigillare con chiodi le porte delle case a Hebron costringendo intere famiglie a saltare da tetto in tetto per andare a scuola o lavoro. Non c’è niente di normale nel rubare la nostra acqua, per poi costringerci a ricomprarla goccia per goccia. Non c’è niente di normale nel fare pagare ai palestinesi la benzina dei bulldozer israeliani usati per demolire la loro casa. Soprattutto, non c’è nulla di normale nella loro aspettativa che con sufficiente brutalità noi ci arrenderemo.
Quindi, perché non normalizzano questa: Noi continueremo a resistere! I loro posti di blocco ci hanno fatto amare la nostra libertà. Le loro bombe ci hanno reso forti di fronte alla paura. I loro proiettili ci hanno fatto abbracciare la non-violenza. La loro ipocrisia ci ha fatto amare la verità. La loro tirannia ci ha reso più coraggiosi. Il loro Muro dell’apartheid ci ha costretto a stare così in alto, così in alto, che possiamo vedere il mondo intero, e tutto il mondo può vedere noi. Mentre loro si nascondono dietro i loro cumuli di cemento e bugie.
Quindi, che i muri che hanno costruito li rinchiudano! Che la parola ‘apartheid’ li definisca! E quando ti chiedono cosa pensi della normalizzazione, unitevi a noi e dite che state dalla parte di coloro che sono rimasti irremovibili, gridando nelle canne dei loro fucili, “avete occupato i nostri villaggi e città, ma non colonizzerete mai le nostre menti”.
Non colonizzeranno mai le nostre menti!
Samah Sabawi
Samah Sabawi è una scrittrice palestinese ed è liaison con il pubblico di Australiani per la Palestina