Report 26.8.2013
Giornata convulsa quella di oggi in tutta la West Bank: nella mattinata scontri con l’esercito israeliano nel campo profughi di Qalandiya, vicino a Ramallah, con 3 morti e decine di feriti con conseguenti azioni e manifestazioni di protesta in vari campi profughi che sono durate tutto il pomeriggio.
Nel campo profughi di Aida, i giovani hanno manifestato contro l’esercito israeliano in risposta ai fatti accaduti in mattinata, con lanci di sassi e innalzando barricate. L’esercito ha sparato proiettili di gomma sulla folla, colpendo alla testa un bambino di 11 anni che ha ricevuto cure immediate senza riportare gravi conseguenze.
Successivamente è intervenuta la polizia palestinese che “ha ripristinato la calma” disperdendo i manifestanti e rimuovendo i copertoni che bloccavano la strada.
Nel pomeriggio, gli/le Shebab del Summer camp di Aida sono andat* nel villaggio rurale di At-Twany, situato a sud di Hebron, nei pressi della citta’ di Yattah, in zona C, dove hanno incontrato i ragazzi di Operazione colomba. La zona C e’ una zona sottoposta al controllo civile e militare israeliano, dove vige la legge militare, e dove quasi nulla è permesso, senza apposite richieste e concessioni da parte della DCO (organo amministrativo dell’esercito israeliano).
Il villaggio conta circa 300 abitanti, in passato per lo più pastori e agricoltori; con la confisca delle terre e l’espandersi delle colonie e degli avamposti illegali (come quello di Havat Ma’on), gli abitanti del villaggio sono stati costretti a cercare lavoro altrove. La bypass road collega le 4 colonie e i 4 avamposti illegali, spaccando a metà il villaggio e dividendo gli altri villaggi della zona, in totale 14, alcuni dei quali abbandonati.
Obiettivo dell’occupazione è spingere i palestinesi verso la zona nord per ripulire tutta l’area C dalla presenza degli arabi (non solo dei palestinesi). L’occupazione si manifesta attraverso varie forme: i check point volanti e i block roads sopratutto verso Yattah che rendono sempre più difficoltosi gli spostamenti con la funzione di intimidire le persone. A questo si aggiunge il blocco delle merci che non permette alla popolazione locale di sviluppare una propria economia.
Ci sono poi demolizioni di case, alberi, cisterne dell’acqua, moschee, generatori di elettricità, perchè senza autorizzazioni, volutamente mai concesse. Dopo 10 anni di manifestazioni il villagio di At twani ha ottenuto l’elettricità. Infine si verifica la confisca delle terre che, se non coltivate per un certo numero di anni, diventano state-land, cioè di proprietà dello stato israeliano. E poi ci sono le irruzioni nelle case, gli arresti dei pastori, le cauzioni pagate per il rilascio degli arrestati (una delle modalità con cui l’occupazione si finanzia).
Nella firing zone si accampano i militari che fanno esercitazioni lunghe intere settimane e che costringono gli abitanti a stare rintanati dentro le proprie case. C’è completa collaborazione tra i coloni e i militari. L’obiettivo ultimo dei coloni e’ di ripulire le terre dalla presenza dei palestinesi e per fare questo, attuano violenze fisiche con frequenti aggressioni a pastori, bambin*, attivist* israelian* e internazional*, uscendo mascherati e usando spranghe, fionde e bastoni. Uccidono gli animali, bruciano il raccolto, abbattono gli ulivi, avvelenano le terre, l’acqua e i pascoli.
La resistenza del villaggio nacque nel 1999 dopo la grande deportazione di 1500 persone di tutti i villaggi della zona dalle proprie case al di là della bypassroad. Nel giro di una settimana gli attivisti israeliani arrivarono a supportare le comunità locali organizzando una grande risposta collettiva. Nel giro di 6 mesi, grazie all’azione legale portata avanti da avvocati israeliani, gli abitanti del villaggio sono potuti tornare nelle loro case. Questa costituì una vittoria incredibile e diede forza per organizzare la resistenza tramite la disubbidienza: alle tante demolizioni, seguono altrettante ricostruzioni, alla cacciata dalla propria terra di un pastore, segue l’occupazione della stessa, da parte di 10 pastori con moltissime pecore.
Molto importante è il lavoro fatto dagli avvocati israeliani che aiutano i palestinesi a reclamare il diritto di stare nella propria terra, attraverso la raccolta dei documenti che attestano la proprietà delle terre, portando avanti delle cause collettive. Infine essenziale è la presenza degli internazionali che raccontano e testimoniano quotidianamente le violenze subite dalla popolazione. Una popolazione che continua a lottare senza arrendersi e che dal 2004 ha ottenuto l’elettricità, la legalizzazione di strutture a rischio di abbattimento come la scuola, la clinica, la moschea e lo stop alla costruzione del muro in quella zona. Il lavoro del comitato di resistenza popolare è quello di informare anche le popolazioni vicine di quanto sta accadendo e di spingere le persone che sono state costrette a scappare, a ritornare nelle loro terre, nelle loro case.
Oggi è in atto una campagna che mira alla cancellazione della firing zone.
Dopo la visita ad At-twany, ci si è spinti nel villaggio di Mufacara, evacuato nel 99 e da poco ripopolato. Anche in questo villaggio si sta attuando la resistenza popolare attraverso la costruzione di nuove case senza i permessi necessari. Fondamentale per la costruzione è stato l’intervento delle donne del villaggio grazie alle quali sono stati aggirati i blocchi stradali dell’esercito che impedivano il trasporto dei materiali edilizi. La presenza delle donne è importantissima durante le manifestazioni e gli arresti, per la loro determinazione e capacità di interporsi con l’esercito.
A fianco della popolazione palestinese, contro ogni sopruso e ogni forma di occupazione
Shebab del summer camp