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Roma 29 novembre in piazza a fianco della resistenza palestinese
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Giovedì 22 ottobre #Roma in piazza per la palestina in lotta
Da oltre un mese siamo testimoni di
un esponenziale incremento della repressione verso il Popolo palestinese portata avanti dell’occupazione sionista in Cisgiordania, nei Territori Occupati del 1948 e nella Striscia di Gaza; esecuzioni a sangue freddo, attacchi da parte dei coloni sionisti, raid, continue provocazioni alla Spianata delle Moschee e incessanti campagne d’arresti sono solo alcuni dei soprusi di cui sentiamo parlare in questi ultimi giorni.
Il Popolo palestinese ha deciso di sollevarsi e reagire, anche se a caro prezzo: nelle ultime settimane il numero di palestinesi uccisi, spudoratamente anche dinnanzi a macchine fotografiche e videocamere, ammonta a decine di giovani.
Chiediamo un’immediata presa di posizione di tutte le realtà solidali al fianco del Popolo palestinese, non solo contro le disumane politiche repressive sioniste, ma soprattutto in appoggio alla sua lotta e ai contenuti politici per cui continua a lottare ininterrottamente da oltre 67 anni.
Invitiamo ad esprimere solidarietà e appoggio alla lotta portata avanti in Palestina
Vi aspettiamo giovedì 22 ottobre 2015 alle ore 18:00 a Piazza Santa Maria Maggiore.
Compagni e compagne di Roma
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Campo Estivo 2015 – Aida Camp
PROGRAMMA CAMPO ESTIVO 2015 1 AGOSTO – 15 AGOSTO
CENTRO AMAL AL MUSTAQBAL, CAMPO PROFUGHI DI AIDA,
BETLEMME, PALESTINA
Anche quest’anno ci sarà il campo estivo presso il centro Amal al Mustaqbal ( Speranza nel futuro), nel campo profughi di Aida, Betlemme.
Quando?
Dal 1 al 15 agosto.
Quanto costa?
La quota di partecipazione è di € 350 e comprende vitto e alloggio, presso il centro, ma non include il volo aereo, al quale dovrà provvedere il singolo volontario che deve essere in possesso di un passaporto in corso di validità e preferibilmente senza timbri di paesi arabi, per evitare problemi e troppe domande all’arrivo in aeroporto; inoltre una parte della quota sarà devoluta al sostegno delle attività che giornalmente il centro svolge.
Quali attività?
Durante le due settimane si avrà la possibilità di conoscere la realtà del campo vivendolo e organizzando, a fianco delle insegnanti, attività ludico creative per i bambini del centro estivo mattutino ( ore 8 – 13); saranno inoltre organizzate visite pomeridiane in altri campi profughi e altri villaggi vicini, come Hebron – Al Khalel, Al Walaja , Gerusalemme est, Nablus ed altri in base alla disponibilità e agli interessi dei volontari, nei quali si incontreranno personalità politiche palestinesi e prigionieri politici. Durante la permanenza al campo, si organizzeranno anche attività di manutenzione del centro e momenti di dialogo e confronto con i ragazzi che lo frequentano per conoscere e scoprire la Palestina.
Perché partire?
Lo scopo di questo campo estivo è quello di iniziare a farvi conoscere la realtà palestinese, di provare a farvela vivere a 360 gradi, per coglierne le bellezze e le difficoltà, per diventare testimoni della storia e poter raccontare. La vita comunitaria e del campo richiede spirito di adattamento, rispetto delle regole, voglia di mettersi in gioco e disponibilità a vivere situazioni alle volte anche complesse.
Pubblicato in Aida camp, Freepalestine, General, Notizie
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marzo 2015 testimonianze dall’Egitto – carcere di Abu Zaabal
24,03,2015
Riceviamo dall’Egitto la testimonianza di una madre che e’ andata a far visita a suo figlio nel carcere egiziano di Abu Zaabal dopo i pestaggi avvenuti qualche giorno fa.
Questo gruppo e’ stato arrestato il 25 gennaio scorso, durante la quarta ricorrenza della rivoluzione e ora è recluso in attesa di processo.
Soprusi nel carcere di Abu Zabaal.
Ieri e’ stato uno dei giorni piu difficili durante la visita di mio figlio Omar, nel carcere di Abu Za’bl.
Non riuscivo a pensare di aver lasciato mio figlio in un posto dove viene picchiato e torturato, senza neanche poter litigare e fare a pezzi chi torura e picchia mio figlio.
Ma Omar insieme agli altri ragazzi privati della propria liberta’nonostante tutto, sono riusciti a resistere rimanendo fermi e a testa alta.
La prima cosa che ho visto quando sono entrati i ragazzi nella visita, e’ stato il sorriso di Omar e un fiore enorme bianco che teneva in mano per la ricorrenza della festa della mamma.
Mi ha detto che il fiore lo aveva fatto un suo compagno di cella con la carta.
Tutto e’ iniziato perche’ volevano privarli dell’ora d’aria. I ragazzi si sono ribellati chiudendosi nelle celle proibendo così alle guardie di entrare per un controllo.
La direzione del carcere ha chiamato le forze speciali, che fanno parte del servizio di leva obbligatorio e si occupano di ripristinare l’ordine all’interno delle carceri, indossavano maschere ed erano totalmente coperti con in mano bastoni neri.
Hanno iniziato a picchiare i prigionieri politici, gli e’ stato chiesto di guardare le mura delle celle, ma i ragazzi non hanno acconsentito e sono stati picchiati nuovamente. Un gruppo di ragazzi e’ stato preso e portato di sotto, nelle celle di isolamento, tra di loro c’era Omar, Ahmed Ziyara, Mostafa Shehata, Abdel Rahman Tarek Moka e altri.
I ragazzi sono stati spogliati e bendati con un nastro nero e naturalmente continuavano a picchiarli. Omar ha tolto il nastro e ha iniziato a gridare e a informare gli altri scompartimenti che li stavano portando di sotto nelle celle di isolamento per punirli, urlando i nomi dei detenuti che venivano trasferiti di sotto. Le percosse sono aumentate, ma quando una guardia si e’ resa conto di come camminava Omar, ha capito che era uno dei feriti della rivoluzione ed e’ stato riportato in cella.
Quando sono poi ritornati nelle celle sono stati privati di tutto: acqua, bevande, i coupon per i soldi, tutto.
I ragazzi stanno tutti bene, nessuno riporta fratture o ferite gravi perche’ le guardie sono specializzate nel picchiare senza lasciare lividi o segni.
Solo un detenuto Bilal Alma’adawi riporta una lieve ferita sulla spalla.
Dopo quello che e’ successo, ci e’ stato proibito di far entrare qualsiasi tipo di bene, dall’acqua ai succhi, al latte, alla frutta, ai vestiti puliti.
Ci hanno concesso di far entrare solo il pasto caldo, tutto il resto e’ tornato indietro.
I detenuti che sono stati portati nelle celle d’isolamento, sono dentro da 5 giorni, sono in mutande e l’unico cibo che gli entra e’ un pezzo di pane ammuffito e un pezzo di formaggio ogni 2 giorni, null’altro.
Naturalmente chi si trova in isolamento e’ anche privato delle visite per un mese.
Spero che le persone che sono libere si ricordino perche’ questi ragazzi sono ora dentro.
Chi puo’ diffonda la loro voce, purche’ la loro lotta anche dentro il carcere non passi inosservata.
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Incursioni israeliane ad Aida Camp, 22/02/2015
Il racconto di una recente incursione nel campo profughi e della resistenza degli/delle abitanti
Aida Camp, West Bank.
22/02/2015
Ci vengono a chiamare, mentre tutti cominciano a correre e gridare: L’esercito! L’esercito! L’esercito israeliano!
Nel mezzo del campo profughi i bambini, i giovani e i loro genitori rompono pezzi di muro e marciapiede per difendersi dall’esercito israeliano. Si nascondono nei vicoli e dietro gli angoli di ogni strada. Gridano, corrono e cominciano a tirare le pietre ai militari che, in una missione silenziosa, sono entrati nel campo profughi Aida con un’operazione finalizzata all’arresto di un palestinese. Tutti lanciano pietre e insulti agli invasori.
Nel 2003 Israele ha dato inizio alla costruzione di un muro che oggi cinge d’assedio la città di Betlemme. Un muro di 8 metri d’altezza con 8 punti di controllo di entrata e uscita regolati da Israele. Alcuni palestinesi che vivevano fuori dal Muro hanno perso le loro case e oggi vivono in uno dei tre campi profughi della città: Dehisha (17000 rifugiati), Aida (7000 rifugiati, molti dei quali, in questo momento, stanno affrontando l’esercito) e Alzza (1500 rifugiati).
Un bambino comincia a gridarmi che vada da lui. Mi avvicino un poco e viene di corsa mentre si segnala il viso e urla in arabo parole che non capisco; contentissimo mi narra a gesti e con imitazioni come ha raggiunto in pieno volto un militare con un sasso. Le pietre difendono e resistono. Il bambino torna a difendersi.
I più anziani e i più piccoli con le loro madri si raggruppano nelle case più vicine. Dietro di me ci sono donne palestinesi e sento i loro piccoli piangere. Altri bimbi si avvicinano agli scontri con curiosità, titubanti prendono in mano qualche pietra fino a che i loro genitori giungono a prenderli in braccio o danno loro uno schiaffo per fargli lasciare le pietre e farli ritornare a casa dove, si suppone, dovrebbero stare più al sicuro.
Mi avvicino un poco a un uomo che sta spezzando una pietra da lanciare. Sono a due metri da lui. Si sente uno sparo. L’uomo cade.
Urla. Non può camminare. L’hanno colpito a una gamba. Una pallottola lo ha perforato proprio sotto il ginocchio. Tutti lasciano le proprie posizioni e corrono ad aiutarlo. Lo caricano e lo portano di corsa all’ospedale.
La macchina che funge da ambulanza per raggiungere l’ospedale deve attraversare un parte della strada dove infervorano gli scontri. Inizia a suonare il clacson e schizza via più velocemente che può.
Una bambna si mette a piangere, sua madre l’abbraccia e la infila nella casa più vicina. Un secondo combattente cade. Un’altra pallottola nella gamba. Tutti cominciano a correre e gridare con le pietre e la rabbia nelle mani. Difendendo, adesso, altre strade nelle quali l’esercito israeliano cerca di entrare. Mantengono le posizioni. Una strada, pietre, corrono, un’altra strada, pietre, pallottola, corrono. Urla.
In una sala di una casa ci sono molti bambini e bambine piccole. Alcuni piangono, altri sono troppo piccoli per capire.
Bomba. Bomba. Bomba. Sono di coloro che resistono o dell’esercito? Non lo sappiamo.
I bambini urlano, gli adulti li calmano. Un uomo mi grida in arabo: We use stone, stone! All problem and all bomb is always israeli. All we have is stone.
Uomini entrano ed escono dalla stanza per informare su quello che avviene fuori.
Senza farsi notare l’esercito israeliano è entrato in una casa del campo dei rifugiati per arrestare un compagno. E’ riuscito a scappare e noi stiamo difendendo il nostro territorio. Adesso i militari stanno girando in borghese per mischiarsi alla folla e fare arresti.
Due bambini si mettono a giocare agli scontri. Uno finge di avere un’arma e l’altro di avere pietre. Nessuno dei due cade.
Bomba, grida e moltitudini correndo.
Di nuovo giunge un uomo e da una notizia in arabo. Ormai si odono lontane le urla, gli scontri si allontanano. Due bimbi si avvicinano per spiegarmi quello che sta succedendo. Parlano solo in arabo. Mi parlano con le mani. Fanno un numero due e si segnalano fra loro. Creano con le mani una pistola lunga e recitano a che uno spara all’altro alla gamba.
Continuano a giocare all’occupazione israeliana nelle terre palestinesi.
Gli scontri si rifanno vicini, adesso con più violenza. Nuovamente l’esercito ha sparato a un altro uomo alle gambe. Gli abitanti del posto bloccano le strade per non far avvicinar l’esercito. I militari stanno occupando alcune case come base. Già sono sette le persone raggiunte alle gambe dalle pallottole e una donna ha ricevuto l’impatto in pancia. Inoltre si contano 10 uomini e giovani pestati dai militari.
Le strade sono piene di luci rosse intermittenti. Ambulanze che raccolgono i feriti e altre che aspettano per soccorrere il prossimo palestinese che abbia bisogno di cure. I giovani corrono quando vedono il laser dei fucili israeliani. Corriamo di strada in strada. Il potere di una pietra non può competere con un’arma da fuoco.
Corriamo, dobbiamo uscire dal campo.
TRA TRA TRA TRA TRA TRA TRA TRA!
Dobbiamo uscire dal campo.
Bomba.
Dobbiamo uscire dal campo. Fra varie chiamate strategiche tirano fuori una mappa e trovano il cammino più sicuro per arrivare al Beit Jala Hospital per vedere la situazione dei compagni feriti dagli spari.
Stanno uscendo dall’ospedale due uomini. Quello a cui hanno sparato al mio lato esce zoppicando con una radiografia in mano. La pallottola non ha raggiunto l’osso, adesso deve ritornare al campo. L’altro esce in sedia a rotelle perché la pallottola gli ha attraversato le due gambe.
I muri israeliani ingabbiano i palestinesi che vengono aggrediti costantemente. Le pallottole dell’esercito israeliano colpiscono le pareti delle scuole, delle chiese e delle case dei palestinesi. Perforano gambe per non farle più camminare.
I compagni stanno tornando ad Aida Camp.
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Strategie e pratiche della campagna BDS a Roma 10-11 gennaio L.O.A. ACROBAX
Strategie e pratiche della campagna BDS a Roma
10-11 gennaio 2015
L.O.A. ACROBAX
Dal luglio 2005 ad oggi, numerosissime azioni ed iniziative hanno sottoscritto pienamente l’appello della società civile palestinese al Boicottaggio, al Disinvestimento e alle Sanzioni contro il colonialismo israeliano.
Un appello chiaro che indirizza la solidarietà concreta che chiunque, in qualsiasi angolo del mondo, può dare alla popolazione palestinese in lotta contro l’espansione coloniale, l’occupazione militare e le politiche di apartheid.
La determinazione dovrà conquistare tre obiettivi molto chiari:
– Porre termine all’occupazione e alla colonizzazione di tutte le terre arabe e smantellare il Muro
– Riconoscimento dei diritti fondamentali dei cittadini Arabo-Palestinesi di Israele alla piena uguaglianza
– Rispetto dei diritti dei profughi palestinesi al ritorno nelle loro case e nelle loro terre come stabilito nella risoluzione 194 dell’ONU
La campagna proseguirà fino al raggiungimento di questi traguardi, e la strada è ancora lunga; ma la campagna BDS si sta sempre di più dimostrando una delle principali preoccupazioni di Israele.
Cosa possiamo fare?
Nel cuore del capitalismo, nell’Europa dei diritti basati sul privilegio, è molto facile ritrovare le complicità politiche ed economiche con il Sistema d’Apartheid israeliano, dirette o indirette che siano.
Crediamo sia arrivato il momento in una metropoli come Roma, centro del potere politico dello Stato italiano palesemente asservito al colonialismo sionista, di dare nuovo slancio e meglio organizzare la campagna BDS partendo da analisi e strategie condivise, in modo da rafforzare il contributo dei/delle solidali con la popolazione palestinese.
Scegliendo insieme gli obiettivi, con una progettualità diffusa, è possibile uscire dalla consuetudine a mobilitarsi unicamente davanti ai grandi massacri dell’esercito israeliano, tralasciando la quotidiana oppressione del colonialismo.
La campagna BDS sta ottenendo risultati in tutto il mondo: consigli studenteschi universitari, noti artisti, organizzazioni sindacali e perfino imprese, banche e fondi pensioni stanno scegliendo di rompere legami e collaborazioni con lo Stato israeliano.
Le prove concrete non sono solo le dichiarazioni e le effettive recisioni degli accordi, ma anche l’investimento economico che Israele è costretto a fare nella lotta dichiarata contro la campagna BDS e nella propaganda.
Con queste idee abbiamo scelto di organizzare una due giorni di discussione sulle strategie e le pratiche della campagna BDS, prevista per sabato 10 e domenica 11 gennaio dalle ore 10 presso il L.O.A. Acrobax.
La giornata di sabato 10 gennaio sarà suddivisa in diversi momenti:
– breve presentazione della campagna BDS e proposte dei tavoli di discussione sulle diverse ramificazioni della campagna
– tavoli di discussione (es. campagna No all’accordo Acea-Mekorot, pinkwashing, ecc. Per le campagne attive a livello nazionale, vedi: http://bdsitalia.org/
– assemblea conclusiva con relazione dei diversi tavoli e scelte progettuali
Domenica 11 gennaio, passiamo dalla teoria alla pratica, mettendo in campo un’azione BDS definita durante l’assemblea di sabato.
Il movimento BDS sostiene la parità di diritti per tutte e tutti e perciò si oppone ad ogni forma di razzismo, fascismo, sessismo, antisemitismo, islamofobia, discriminazione etnica e religiosa.
Potete scrivere alla mail: romaboicottaisraele@inventati.org per confermare la partecipazione e proporre la necessità di specifici tavoli di discussione.
Leggi l’invito al tavolo sul Pinkwashing che si terrà alle Cagne sciolte
Vi aspettiamo
Rifiutiamo l’Apartheid
Roma Boicotta Isra
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Roma anche a Natale boicotta l’Apartheid israeliana
Domenica 21 dicembre, un gruppo di solidali con la popolazione palestinese ha scelto di organizzarsi ed attraversare una giornata di shopping natalizio segnalando i prodotti che contribuiscono all’economia del colonialismo israeliano. La giornata si inserisce nel mese di azioni di boicottaggio #NataleApartheidFree che ha visto la partecipazioni di una dozzina di città italiane, da Torino a Cagliari.
http://bdsitalia.org/nataleapartheidfree
Nonostante il via vai generato dal consumo compulsivo, tantissime persone hanno scelto di fermarsi ed ascoltare cosa c’è dietro un semplice marchio esposto sugli scaffali.
Euroma 2, centro commerciale ai margini dell’Eur e offesa alle esistenze di tanti che vivono nei quartieri popolari intorno, di occasioni ne offre molte:
“Sabon”, società israeliana di prodotti cosmetici del mar Morto, è stato il primo obiettivo di questa passeggiata BDS e il risultato è stato davvero sorprendente; il gruppetto è entrato con volantini e cartelli, parlando con le persone ed inibendo l’utilizzo dei lavandini adibiti alle dimostrazioni dei prodotti. In meno di un minuto, l’intera clientela ha raccolto l’invito al boicottaggio, abbandonando il negozio.
La tappa successiva è stata “Kasanova”, catena che pubblicizza e commercializza i gasatori per l’acqua frizzante della SodaStream, dedicandogli interi scaffali e la promozione alle casse. Raccolti tutti i prodotti dell’eco-mostro israeliano, la i/le solidali hanno presentato il conto alle casse, informando gli addetti alle vendite e tutta la clientela della diretta complicità della ditta israeliana nella violazione dei diritti dei palestinesi.
La passeggiata si è conclusa nell’irrinunciabile “iper-Coop”. Sono più di due anni che le azioni di boicottaggio spingono la catena ad abbandonare il finanziamento al colonialismo sionista. Purtroppo numerosissimi marchi complici dell’Apartheid sono presenti nei punti vendita Coop: HP – Hewlett-Packard, che fornisce la tecnologia per la macchina coloniale israeliana, gli scarponi della Caterpillar le cui ruspe demoliscono le case palestinesi, L’Oréal e SodaStream sono stati gli obiettivi scelti. Gli scaffali sono stati svuotati ed i prodotti portati al desk della direzione, ennesima dimostrazione del rifiuto delle scelte commerciali della Coop che, nonostante la facciata etica, continua a sfruttare i lavoratori e ad incrementare l’economia israeliana.
Per un natale senza Apartheid, boicottiamo Israele, free Palestine
Roma Boicotta Israele
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Azione di boicottaggio contro la partecipazione israeliana all’EXPO 2015
ISRAELE SI PRESENTA?! IL COLONIALISMO E L’APARTHEID MESSI IN MOSTRA!
Oggi 14 dicembre, una ventina di attiviste e attivisti solidali con la Palestina hanno denunciato le menzogne della mostra “Israele si presenta” all’aeroporto di Fiumicino, che pretende di presentare le “eccellenze” israeliane nell’agricoltura e nella gestione dell’acqua in vista di Expo 2015 a Milano.
Aprendo uno striscione in mezzo alla mostra con la scritta “Boicotta Israele. Fields of Apartheid”, i manifestanti hanno portato un minimo di realtà allo slogan del padiglione di Israele a Expo, Fields of Tomorrow.
Con l’azione è stato messo in mostra il regime di colonialismo e apartheid che Israele impone sulla popolazione palestinese, fatto di ulivi sradicati, furto di terra e d’acqua, spari sugli agricoltori, bombardamenti e assedio a Gaza, occupazione militare, checkpoint e muro, incarcerazioni, oppressione.
Expo 2015, già conosciuta per la devastazione territoriale e la speculazione, così come l’appropriazione ipocrita di termini come “sviluppo sostenibile”, diventa anche una vetrina per la propaganda israeliana.
Le attivisti e gli attivisti antifascisti hanno inviato i viaggiatori allo scalo romano ad unirsi all’appello di 170 organizzazioni della società civile palestinese per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) contro Israele finché non rispetti i diritti umani e il diritto internazionale.
Rifiuta l’apartheid. Boicotta Israele. Boicotta Expo2015.
Roma Boicotta Israele
romaboicottaisraele@inventati.org
www.bdsitalia.org
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21 dicembre Roma… per un #NataleApartheidFree
Per dire NO all’economia israeliana di colonialismo e apartheid. A fianco della popolazione palestinese.
Roma – domenica 21 dicembre, ore 16.00 – Metro EUR Palasport
Boicotta Israele
Rifiuta l’apartheid
romaboicottaisraele@inventati.org
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Aida resiste!
Riceviamo e pubblichiamo un breve testo sui fatti di ieri nel campo profughi di Aida dove la tenacia dei/delle compagn* palestinesi ha tenuto testa ancora una volta al tentativo di invasione dell’esercito occupante.
Nei giorni scorsi gli shebab del campo avevano ritrovato delle telecamere di solito utilizzate nei boschi per la visione notturna nascoste nei muri del campo.
Aida oggi. 12 ottobre 2014.
Come scudo un cassonetto dell’UN e come armi delle pietre.
Nel pomeriggio sono iniziati gli scontri. A differenza degli altri giorni gli shebab sono in tanti e si ritrovano a lanciare pietre contro i soldati israeliani che avanzano verso il campo. Riescono ad entrare ma vengono subito respinti dai ragazzi di Aida. La situazione resta in stallo per un po’: i soldati alla chiave e i ragazzi poco sopra. L’esercito israeliano lancia proiettili di gomma, lacrimogeni e bombe sonore agli shebab ed avanza verso il campo, arrivando vicino alla Moschea e prendendo possesso della casa di Abu Aker.
Non si fermano, non si accontentano e continuano a sparare ferendo un bambino di 11 anni
che adesso si trova in rianimazione presso l’ospedale di Beit Jala che, per mancanza di macchinari, sta provvedendo ad un trasferimento.
Di seguito un breve racconto della storia del campo a 14 anni dalle seconda Intifada.
Aida. Uno dei tre campi profughi di Betlemme nato nel 1949 in seguito alla Nakba del popolo palestinese.
Il campo, attualmente costituito da circa sei mila persone, è situato su un territorio di un kilometro quadrato tra la città di Bet Jala e Betlemme. Il campo deve il suo nome a una signora, Aida, che prima di cedere il suo terreno ai profughi possedeva un bar su questa
terra. Nella zone limitrofa al campo troviamo la Moschea di Bilal, il cimitero musulmano e
la Tomba di Rachele, luogo rivendicato dal popolo israeliano e motivo dei continui scontri.
Alcuni problemi del campo continuano a persistere ancora oggi, tra questi i principali sono: l’acqua, l’elettricità, l’istruzione e la mancanza di un medico all’interno del campo inoltre l’ospedale più vicino nella città di Betlemme.Da quando è nato sino ad oggi, il campo è sempre stato oggetto di vessazioni da parte dell’esercito israeliano. Gli scontri di ribellione del popolo di Aida si sono intensificati nell’anno 1970, durante l’edificazione della colonia di Ghilo e nell’anno 1995, a causa della costruzione della strada che porta da Gerusalemme alla colonia di Gush Etzion. Dopo diverse settimane di rivolta gli scontri sono continuati alternandosi a pause sino all’anno 2000, anno dello scoppio della Seconda Intifada.
Come in ogni villaggio palestinese anche in Aida si è acceso il fuoco della rivolta contro l’occupazione israeliana. Durante il primo mese di Intifada dal campo è stato lanciato un
razzo, di piccole dimensioni, verso la colonia di Ghilo, fattore scatenante l’immediata occupazione militare di Betlemme e il tentato ingresso in Aida per quattro giorni.
Nel 2001 l’esercito israeliano ha tentato nuovamente l’ingresso in Aida accompagnando i
soldati con carrarmati ed elicotteri che sorvolavano il campo; nonostante ciò la resistenza
non si è mai arresa o spaventata, ha invece sempre continuato a lottare. A causa della
forte disparità di mezzi in cui versava il popolo di Aida, in un solo giorno si trovarono
cinque nuovi martiri. L’esercito israeliano, dopo aver fallito i tentativi di ingresso nel campo per circa una settimana, ha deciso di attuare una nuova strategia. Diverse case si
trovarono dei buchi nelle mura che dovevano funzionare da passaggio per i soldati
intimoriti dagli scontri nelle strade e per riuscire a porre un maggior controllo sui
giovani delle brigate.Questi, per evitare problemi e vittime in famiglia, scelsero di non
posizionare le bombe ai piani superiori delle case per farle crollare sui soldati.
Le brigate cambiarono strategia: le donne divennero il loro occhio. Esse avevano il compito
di segnalare agli uomini, di giorno fuori dal campo, gli spostamenti dei soldati. Questo
permise al popolo di Aida, di esser sempre pronto e di scatenare gli scontri nella notte
con l’obiettivo di uccidere i soldati. In una notte ne morirono tre. Circa dieci notti
successive all’accaduto Aida si riunì a festeggiare la vittoria in seguito alla ritirata
dell’esercito israeliano.
Nel 2002, sempre durante l’Intifada, un gran numero di persone si era rifugiato, sperando
di trovarsi al sicuro anche per l’occhio dei media, nella Chiesa della Natività a Betlemme.
Vane speranze che si scontrarono con l’occupazione che entrò a Betlemme e nella Chiesa dopo circa quaranta giorni per effettuare arresti. Alcune di queste persone, sono state mandate fuori dalla West Bank, ventidue a Gaza, tra cui due giovani di Aida, e tredici in Europa senza il permesso di ritorno poiché considerate pericolose per Israele.
All’inizio del 2003, l’esercito ha intensificato gli arresti dei giovani delle brigate sia
all’interno che all’esterno del campo prelevandoli dalle loro case. Così proseguì tutto
l’anno fino a quando, verso la fine del 2003, è iniziato il progetto di costruzione del
muro dell’apartheid, concluso nel 2005 e che, attualmente si trova a circa quindici metri
dalle case più esterne del campo. Durante gli anni di costruzione del muro, 2004/2005,
molti giovani di Aida sono stati arrestati perché partecipavano agli scontri e alle
manifestazioni che si opponevano all’occupazione. Alcuni di loro, dopo un periodo di circa
cinque anni nelle carceri israeliane, sono stati segregati nella Striscia di Gaza.
Ad oggi il campo conta: trentadue martiri, cinque ragazzi mandati fuori dalla West Bank
senza permesso di ritorno e 75 ragazzi nelle carceri israeliane di cui 7 destinati a passarci tutta la vita e uno ventimila anni.
Aida. Prima di essere campo, prima di essere partiti è insegnamento alla resistenza, è un
esempio di lotta contro l’occupazione e speranza nella libertà e nel ritorno.