Quanti Mazin esistono in Palestina? A 14 anni tra carcere e torture

Pubblichiamo questo articolo perchè racconta la storia di tant@ ragazz@ in Palestina.
Il colonialismo sionista si difende ingabbiando le persone e devastando i territori, il futuro della Palestina, i bambini e le bambine, sono i primi target dell’esercito occupante.
Ad Israele non serve neanche una scusa concreta per incarcerare la popolazione palestinese, nell’indifferenza totale, il dispositivo carcerario si è dotato della “detenzione amministrativa” per chiudere in gabbia senza accuse, senza difesa legale e senza tempo limite.

È stato scarcerato il 4 novembre Mazin Zawahreh  un ragazzo palestinese di 14 anni di Betlemme, arrestato l’11 settembre scorso nei pressi del checkpoint di Beit Jala, a Sud di Gerusalemme.

Quel giorno Mazin si trovava con tre amici: stavano giocando a pallone quando sette soldati israeliani, al vederlo, lo hanno aggredito colpendolo col calcio del fucile. Lo hanno messo in ginocchio, gli hanno strappato i vestiti, legate le mani e coperti gli occhi con la sua stessa maglietta, dopodiché lo hanno picchiato per due ore. Prima che lo portassero via  su una jeep,  un conoscente, vedendo il ragazzo in quelle condizioni, ha avvisato i familiari, che altrimenti non avrebbero saputo niente dell’avvenuto arresto del figlio.

Mazin è stato portato nel carcere israeliano di Mascobia, a Gerusalemme, dove è stato tenuto ed interrogato per ventinove di giorni con l’accusa di aver cercato di uccidere i soldati con un coltellino rinvenuto nella sua tasca. Il ragazzo è stato sottoposto ad un trattamento inumano: minacciato e torturato,  tenuto in uno stanzino sottoterra, legato al letto in una posizione forzata che gli ha provocato seri problemi respiratori. Questo trattamento brutale era finalizzato ad ottenere una dichiarazione di colpevolezza rispetto alle accuse mossegli contro, dichiarazione che nonostante tutto Mazin ha avuto la forza non firmare. Continua a leggere

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Segui la diretta dei Palestinian Freedom Riders

Angela Y. Davis
“I Freedom Riders palestinesi che resistono collettivamente all’apartheid israeliano si ispirano all’eredità cinquantenaria dei Freedom Riders statunitensi, i quali sfidarono in maniera coraggiosa le leggi di Jim Crow degli stati del sud contribuendo a smanteallare le strutture legali del razzismo. Tutte e tutti coloro che si battono per i diritti civili oggi dovrebbero essere pronti a supportare i nostri fratelli e sorelle palestinesi”.

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STOP OCCUPATION! FREE PALESTINE!

Rosa Parks is Alive!

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Ni’lin, manifestazione contro il muro dell’apartheid

Venerdì 11.11.2011. tratto da www.nilin-village.org
Dopo la preghiera, è iniziata una manifestazione pacifica convocata dal comitato popolare di Ni’lin contro il muro dell’Apartheid  e partecipata sia da palestinesi del villaggio, sia da attivisti internazionali.

I/le manifestanti hanno commemorato il settimo anniversario della morte di Arafat e hanno gridato slogan contro la costruzione del muro dell’apartheid sulle terre del villaggio, chiamando all’unità di tutta la popolazione contro l’occupazione.

Prima che la manifestazione arrivasse in prossimità del muro, i soldati hanno sparato lacrimogeni e bombe sonore alla folla, con la volontà di reprimere e cercando di disperdere i manifestanti sparando in aria alcune munizioni delle armi in dotazione. 4 persone sono state ferite dall’utilizzo di proiettili ricoperti di gomma e tante altre sono state intossicate dai lacrimogeni.

Nonostante tutto, la manifestazione non si è dispersa e ha dimostrato, come ogni settimana, che nessuno farà alcun passo indietro contro l’occupazione e contro il muro dell’apartheid.

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Al- Walaja contro il muro dell’apartheid

13.11.2011 Palestinesi e solidali continuano a lottare contro la costruzione del muro e l’esproprio di terre nel villaggio di Al- Walaja (vicino Betlemme).
Nell’ultimo mese, le autorità israeliane hanno scelto di usare gli esplosivi per fare spazio al mostro di cemento, accelerando il piano di confisca della terra e la segregazione degli abitanti.

La manifestazione di oggi è riuscita a rallentare le operazioni delle forze occupanti ma non ha potuto impedire l’esplosione e la devastazione del territorio del villaggio palestinese.
Dopo tre ore, la presenza degli abitanti e dei solidali è stata attaccata dall’esercito israeliano con spray urticante e arresti.  In questo momento sono stati tutti rilasciati tranne Mustafa Odeh, abitante di Al-Walaja,  ancora detenuto e probabilmente con l’accusa di aver partecipato ad una manifestazione illegale e di aver aggredito i soldati.

Per aggiornamenti cliccate qui
Stop Occupation, Free Palestine!

 

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Proteste contro gli accordi militari tra Corea del Sud e Israele

Fonte: Electronic Intifada
Attivisti e attiviste in Korea del sud stanno incessantemente protestando contro la vendita di armi pianificata dal loro governo all’esercito israeliano del T-50 jet da combattimento, e vogliono allo stesso tempo che il governo tagli ogni rapporto militare con Israele finchè non rispetterà le leggi internazionali.

Il Palestine Peace Solidarity di Seoul
ha lanciato una petizione dal proprio sito internet chiedendo al governo sud coreano il rispetto dell’appello palestinese per un totale embargo militare su Israele e la cancellazione della vendita del jet.

Verso la fine di settembre, a Seoul alcuni attivisti si sono impegnati a comunicare con i passanti anche attraverso il teatro di strada per richiamare l’attenzione sulle politiche israeliane d’occupazione in West Bank e a Gaza, e hanno spronato le persone ad opporsi alla vendita di armi.

Un attivista comunica al megafono: “Israele può utilizzare il T-50 per attaccare la popolazione palestinese… Per favore, dicci che sei un cittadino coreano contro la vendita di armi ad Israele”

http://youtube.com/watch?v=LzlmUzaLC0E

Questa azione segue la scia del recente appello contro la vendita del T-50 di un’ampia coalizione di gruppi coreani in solidarietà alla Palestina e per i diritti umani. Continua a leggere

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Palestinian Freedom Riders per sfidare la segregazione razziale

Iniziativa prevista per il 15 novembre 2011  a bordo dei bus per coloni diretti a Gerusalemme – da Popular Struggle Coordination Committee

Gli attivisti e le attiviste palestinesi si rifaranno alle Freedom Rides verso il sud dell’America del movimento statunitense per i diritti civili, salendo a bordo del trasposto pubblico segregazionista israeliano in West Bank per raggiungere Gerusalemme est sotto occupazione.

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Coloni spezzano 30 ulivi a sud di Nablus

Fonte: Maan News Agency
Tratto da: Occupied Palestine
Riportiamo la notizia come da agenzia.

Lunedì 7 novembre 2011, coloni israeliani hanno spezzato più di 30 ulivi nel villaggio di Madama, a sud di Nablus, secondo una fonte ufficiale.
Il consiglio del villaggio rappresentato da Ihab Tahseen ha raccontato che i coloni dell’insediamento Yitzhar hanno distruttto gli alberi di proprietà palestinese e gridato slogan anti-arabi in ebraico.
Ihab ha fatto appello all’intervento di organizzazioni internazionali in difesa dei diritti umani, rispetto i continui attacchi dei coloni nei confronti di proprietà palestinesi.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, lunedì aveva fatto appello ai coloni di comportarsi con moderazione, dopo che in 12 sono stati arrestati per aver attaccato la polizia e i soldati israeliani.
I coloni vengono raramente arrestati per i violenti attacchi nei confronti dei palestinesi.

B’Tselem, organizzazione israeliana per i diritti umani, che monitora gli attacchi di coloni in West Bank, dichiara: “Le forze di sicurezza israeliane hanno fatto poco per ostacolare la violenza dei coloni o arrestare i colpevoli”

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Video: Protesta alla Wayne State University di Detroit

Fonte: The Electronic Intifada.  Articolo completo
http://youtube.com/watch?v=k-QqnRj8Ax4

Il 1 novembre le/gli studenti hanno organizzato una protesta silenziosa alla Wayne State University di Detroit con un’uscita di massa dalla sala in cui era presente Gil Hoffman, portavoce dell’esercito israeliano e corrispondente del Jerusalem Post, lasciandolo tenere la conferenza senza la platea.
Il video mostra centinaia di studenti presenti e molti di loro con le bocche simbolicamente tappate da un nastro rosso o con cartelli addosso in segno di protesta contro i crimini di guerra israeliani.
Ad un tratto, gli/le studenti escono in massa dalla sala  lasciando solo una manciata di persone ad ascoltare il relatore.

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PACBI – L’eccezionalità d’Israele: normalizzare l’anormale

Versione in inglese da sito web del PACBI [Palestinian Campaign for the Academic&Cultural Boycott of Israel]. Traduzione a cura di Renato Tretola.

Nella lotta palestinese ed araba contro la colonizzazione, l’occupazione e l’apartheid, la “normalizzazione” di Israele è un concetto che ha generato diverse controversie, poiché spesso viene frainteso, oppure perché ci sono disaccordi su quelli che sono i suoi criteri; e questo nonostante il quasi unanime consenso tra i Palestinesi e tra i popoli del mondo arabo sul rifiuto a trattare Israele come Stato “normale” con cui si possano intrattenere relazioni regolari. In questa sede tratteremo la definizione di normalizzazione che la grande maggioranza della società civile palestinese, quella rappresentata dal movimento Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), ha adottato a partire da novembre 2007, e analizzeremo le sfumature che tale definizione assume in diversi contesti.

Può essere utile pensare alla normalizzazione come ad una “colonizzazione della mente”, in base alla quale il soggetto oppresso finisce per credere che la realtà dell’oppressore sia la sola realtà “normale” alla quale si debba aderire e che l’oppressione sia un dato di vita con cui bisogna aver a che fare. Chi partecipa alla normalizzazione ignora questa oppressione oppure la accetta come lo status quo con cui bisogna convivere. In uno dei suoi tentativi di autoassolversi per le proprie violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani, Israele prova a crearsi un nuovo marchio, o presentarsi come normale – anzi “illuminato” – attraverso una serie di relazioni e di attività che spaziano dal campo culturale e quello legale, dall’hi-tech alla cultura LGBT e ad altri.

Un principio-chiave che il termine “normalizzazione” sottende è che esso è interamente basato su considerazioni di carattere politico, più che razziale, ed è quindi in perfetta sintonia con il rifiuto da parte del movimento BDS di tutte le forme di razzismo e di discriminazione razziale. Opporsi alla normalizzazione è un mezzo per resistere all’oppressione, ai suoi meccanismi e alle sue strutture. In quanto tale, opporsi è dunque attività assolutamente slegata, o incondizionata, dall’identità dell’oppressore.

Dividiamo la normalizzazione in tre categorie che corrispondono alle differenze inerenti ai vari contesti dell’oppressione coloniale e all’apartheid di Israele. È importante considerare queste definizioni minime come base per azioni operative e di solidarietà.

1) La normalizzazione nel contesto dei Territori Occupati e del mondo arabo

La Campagna palestinese per il boicottaggio accademico e culturale di Israele (PACBI) ha definito espressamente la normalizzazione in un contesto palestinese ed arabo “come la partecipazione ad un qualsiasi progetto, iniziativa o attività, in Palestina o a livello internazionale, che miri (implicitamente o esplicitamente) a riconciliare i Palestinesi (e/o gli Arabi) con gli Israeliani (tanto la popolazione che le istituzioni) senza porsi come meta la resistenza alla, e lo scontro con la, occupazione israeliana e con tutte le forme di discriminazione e di oppressione contro il popolo palestinese”. Questa è la definizione approvata dal comitato nazionale del BDS (BNC). Continua a leggere

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Israele progetta la costruzione di 60,000 alloggi per coloni a Gerusalemme

Traduzione di una notizia del Palestinian Information Center

Le fonti mediatiche ebraiche hanno rivelato un piano strategico per l’occupazione della municipalità di Gerusalemme con l’intenzione, nei prossimi 20 anni, di costruire più di 60,000 nuovi alloggi.

Domenica, Maariv (quotidiano israeliano) ha affermato che i documenti della municipalità di Gerusalemme mostrano che delle 60,718 nuove unità residenziali, la maggior parte (53,000) verrà costruita nelle colonie a Gerusalemme Est.

Secondo il documento, la maggior parte del territorio necessario alla costruzione degli insediamenti appartiene a Gerusalemme Est.
24,000 unità sono state già approvate dalla commissione urbanistica e solo 3,500 di queste verranno costruite a Gerusalemme Ovest. Per altre 13,500 unità è stata già presentata una domanda che attende di essere approvata. Per altre 23,266 unità il progetto è in preparazione.

Secondo in dati contenuti nel documento, il terreno sul quale verranno costruite queste unità è nella zona Nord-est di Gerusalemme, come la colonia di Besgat Zeiv e quella di Nevieh Yacub e le periferie arabe di Beit Hanian e Shefat.

La costruzione di oltre 10,000 unità inizierà immediatamente, per la metà sono già state ottenute le concessioni edilizie mentre l’altra metà ancora aspetta l’autorizzazione.
Secondo la documentazione della municipalità, 10,934 unità verranno costruite a Silwan e nella città vecchia.
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