29-10-09
Come in Aprile, prima di portare solidarietà e appoggio ai palestinesi che vivono costantemente sotto l’occupazione militare sionista, abbiamo scelto di consolidare la rete con chi anima le lotte sociali in Israele e supporta i palestinesi nei territori.
Anche questa volta l’arrivo all’aereoporto non è stato senza problemi, alcuni di noi sono stati trattenuti per diverse ore, nelle quail hanno subito interrogatori pressanti, identificazione attraverso foto segnaletiche e rilevamento delle impronte digitali.
Con i compagni incontrati abbiamo potuto approfondire le trasformazioni della città vecchia Jaffa e di Tel Aviv, soffermandoci sui meccanismi di controllo dei flussi migratori e sulle lotte contro le frontiere nello stato d’Israele.Riguardo Tel Aviv, una coalizione molto larga di sinistra con una posizione non sionista, ha ottenuto il 35% di voti alle ultime elezioni comunali. Questa coalizione, presentatasi come partito unico, ha ottenuto il maggior numero di seggi pur essendo all’opposizione. Escluse le zone abitate dalle classi medio alte, ha vinto nettamente specialmente nei quartieri popolari. Questa vittoria è sintomo di un orientamento politico in contro tendenza con le altre città israeliane, creando così un’opinione pubblica attenta alle politiche autoritarie del governo centrale (15.000 persone in piazza per protestare contro l’operazione militare piombo fuso).
Declinare il tema delle frontiere in una terra dove tutto è volutamente costruito per escludere ed espropriare o annettere e sfruttare, risulta difficile senza approfondire le radici della formazione dello stato di Israele. Muri, reti e filo spinato, apartheid, leggi e documenti, campi profughi, città e colonie sono solo alcune delle barriere, visibili o invisibili, costruite con profonde fondamenta o in continua espansione.
Esclusa la legge del “diritto al ritorno” per tutti gli ebrei del mondo che vogliono vivere in Israele, in questo stato non esistono leggi per acquisire la cittadinanza e, riconoscendo unicamente matrimoni religiosi, neanche un matrimonio misto all’estero potrebbe mai garantire la cittadinanza ad un palestinese o a qualsiasi straniero. Secondo la legislazione vigente non esistono permessi di soggiorno per lavoratori migranti e l’assegnazione spetta unicamente alle compagnie che assumono le persone. Una volta finito il progetto si è costretti quindi a lasciare il paese per non diventare clandestini.
Questo meccanismo perverso è frutto di convenzioni tra le imprese e lo stato poiché per ogni assunzione c’è una percentuale di guadagno e ovviamente il ricambio continuo è l’unica natura prevista.
Come se la totale militarizzazione non bastasse al controllo e alla repressione, è stato recentemente introdotto un corpo speciale di polizia della migrazione coordinato direttamente dal ministero degli interni. Anche se non esistono ancora veri e propri centri centri di identificazione ed espulsione, i migranti illegali ricevono continue pene carcerarie prima della deportazione.
In questo quadro si inserisce la lotta per l’abolizione della legge che vietava ai rifugiati africani di vivere al centro del paese (in un confine delimitato da una città a nord ed una a sud di Tel Aviv).
Questo provvedimento costringeva i rifugiati a vivere nelle periferie povere non abituate al fenomeno della migrazione, alimentando la guerra fra poveri e il razzismo nei confronti dei neri africani, dando vita così ad un fenomeno xenofobo relativamente nuovo in Israele. La campagna di sensibilizzazione per fermare l’applicazione di questa legge non ha coinvolto solamente gli attivisti del movimento ma una grossa fetta dell’opinione pubblica.
Da sottilineare è il fondamentale impegno di una squadra di calcio di Tel Aviv (Hapoel), dove giocatori e tifoseria insieme hanno deciso di esporre degli striscioni per molti mesi durante le partite giocate.
La squadra e tutta la tifoseria è ormai in stretta connessione con il movimento dei lavoratori e gli slogan utilizzati per la campagna furono funzionali:
– “Chi è che qua non è un rifugiato?” rifacendosi alla natura della popolazione che abita questa terra
– “ Noi non siamo come la svizzera” ricordando il completo disimpegno del paese elvetico che, in nome della propria neutralità, durante la seconda guerra mondiale rifiuto’ l’accoglienza agli ebrei che scappavano dalle persecuzioni e dai lager nazisti.
L’abolizione di questa legge rappresenta una piccola vittoria e i gruppi ultras coinvolti, se pur con moltissime contraddizioni, fanno ormai parte della rete dei movimenti che lottano a Tel Aviv.
La seconda piccola vittoria riguarda una lotta con ovvie sembianze nazionaliste ma che ha mosso l’indignazione dell’opinione pubblica. Riguarda infatti i figli dei lavoratori migranti illegali che, secondo la legge, possono frequentare la scuola ma senza mai ricevere un documento che certifichi legalmente la loro cittadinanza. Nonostante il ministro abbia da sempre affermato che non essendo ebrei dovevano essere espulsi con i loro genitori, è stata attivata una campagna per riconoscere uno status a questi bambini.
Le dichiarazioni dei ragazzi migranti sottolineavano, tra le altre cose, la volontà di voler servire la patria e svolgere il servizio militare. L’opinione pubblica, indignata dal trattamento riservato a questi ragazzi, forzò il congelamento delle deportazioni consentendo quindi, come reazione a catena, il congelamento delle deportazioni dei genitori per permettere l’inclusione dei “futuri patrioti”. Paradossale come in un paese fondato da immigrati si tenda ad adottare misure sempre più limitanti sull’immigrazione: a questo proposito, Netanyahu ha recentemente affermato che Israele dovrà applicare un tipo di legislazione ancora più restrittiva, prendendo ispirazione dall’ attuale modello italiano.
Con tutta la nostra rabbia, contro ogni razzismo siamo tutte/i clandestine/i!