I raccolti palestinesi distrutti dalle fogne israeliane

di Emma Mancini
Non bastano gli attacchi quotidiani, le violenze a contadini e pastori, l’implementazione costante delle colonie. Ora a rendere la vita difficile ai palestinesi residenti nei villaggi a Sud di Hebron ci si mettono pure le fogne degli insediamenti israeliani illegali.

Il problema non è certo nuovo, da oltre vent’anni quindici villaggi palestinesi soffrono per le esalazioni e l’inquinamento proveniente dalle acque nere prodotte dai non graditi vicini. Un problema che durante l’estate diventa impossibile da affrontare. Insetti, zanzare, odore mefitico avvolgono ogni anno Dahiriyya, Al-Riniyya, Fawwar Camp, Abo Asaja, Abo Ghozlan e altri piccoli villaggi del distretto, nelle valli a Sud di Hebron e a Nord di Yatta. Le responsabili sono le colonie che circondano l’area, Kiryat Arba e Bet Hagay su tutte.

L’effetto sulla vita quotidiana dei residenti è tragico. Le fogne corrono vicinissime alle case: molti abitanti soffrono da anni di malattie connesse all’inquinamento e alla puntura di insetti, in particolare i bambini. Gli insetti, e le zanzare specialmente, attaccano le piantagioni nelle terre dei villaggi, distruggendo il raccolto e intaccando seriamente le poche fonti di entrata economica dei residenti. Ad essere colpite sono le colture tipiche delle colline a Sud di Hebron, vegetali e uva. “La maggior parte del raccolto è andato in fumo a causa degli insetti – racconta un contadino all’AIC – A volte non riesco a restare troppo tempo nella mia terra a lavorare per le zanzare e l’odore insopportabile”.

Un odore che non cessa durante la notte e che peggiora in estate. I palestinesi residenti non possono lasciare le finestre o le porte aperte, nemmeno quando il caldo estivo diventa intenso, e le ore in bianco aumentano costantemente. Difficile dormire avvolti nella puzza di fogna e negli attacchi notturni delle zanzare.

Le organizzazioni locali hanno denunciato più volte il problema alle autorità israeliane, responsabili dell’intera area: dopo gli accordi di Oslo del 1993, la zona è considerata Area C, sotto l’esclusivo controllo civile e militare dello Stato di Israele. Ma una soluzione, nonostante le tante promesse, non è stata mai nemmeno cercata. Le proteste dei villaggi si scontrano contro l’invalicabile muro dell’amministrazione civile israeliana.

Per questo, nelle passate settimane i residenti dei 15 villaggi hanno deciso di agire da soli, supportati dai comitati popolari. La scorsa settimana è stato organizzato un meeting nei villaggi di Abo Asaja e di Abo Ghozlan al fine di programmare le proteste a venire. La popolazione ha così lanciato un vero e proprio movimento di base con l’obiettivo di attirare l’attenzione delle organizzazioni internazionali per i diritti umani, la stampa estera e l’opinione pubblica internazionale.

Più volte i membri dei comitati locali hanno sottolineato come un simile problema affligga ormai l’area da oltre 20 anni. Le autorità israeliane hanno sempre evitato di dare risposte concrete, seppur non appaia difficile risolvere il problema delle acque nere: le fogne dovrebbero essere coperte con dei tubi, di modo che le acque non scorrano più in superficie.

L’espansione degli insediamenti a Sud di Hebron, le violenze quotidiane dei coloni contro contadini e pastori e il problema delle fogne sono parte della stessa politica: rendere la vita dei palestinesi impossibile da vivere, così da costringerli a lasciare terre e villaggi. È il cosiddetto “quiet transfer”, strategia organizzata e sistematica volta all’espulsione dei residenti palestinesi. L’obiettivo finale? Occupare le terre ed annetterle alle colonie a Sud della Cisgiordania, così da realizzare una concreta e ufficiosa annessione del zona meridionale del distretto di Hebron allo Stato di Israele.

La stretta cooperazione tra coloni e autorità israeliana è solo l’ennesima prova di una tale strategia.

 

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