Pubblichiamo l’opuscolo “Il Sistema Israele e le sue tracce nel mondo” stampato a Bologna nel settembre 2011, in formato pdf, impaginato e pronto per la stampa.
Pensiamo si tratti di un buon contributo e ricco di spunti, capace di connotare ciò che molto spesso riassumiamo con una frase di Vittorio: “La Palestina può anche essere fuori dall’uscio di casa”.
Vi lasciamo alla premessa che troverete come introduzione all’opuscolo, per richiedere delle copie o contattare chi l’ha autoprodotto scrivete a acrati[at]autoproduzioni.net
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Premessa
Lo spunto per affrontare la questione dell’impronta sul mondo del sistema Israele mi era venuta dalla notizia dell’installazione a Milano, nell’ottobre 2010, delle cosiddette “telecamere intelligenti” che si attivano in caso di assembramenti di più persone, di risse, scippi, bombolette spray in azione o pacchi sospetti abbandonati. L’ex vicesindaco De Corato, per affrontare il rischio terrorismo in occasione dell’Expo 2015, era stato personalmente a visionare il software in Israele dove questo genere di telecamere sono state ideate, sperimentate e utilizzate nelle città. Milano, del resto, è gemellata con Tel Aviv dai tempi di Craxi e, nel maggio del 1994, l’allora sindaco leghista Formentini vi si recò per consolidare il patto. Una volta acquistato il software non servono impianti particolari ma basta applicarlo a quelli già esistenti. Piazzale Cadorna è stata la prima sede di sperimentazione delle telecamere “intelligenti” che saranno inserite anche tra gli allarmi per rilevare voci e movimenti anomali, rimozione di oggetti, direzione sbagliata (come un’auto in contromano) e un “indugiare sospetto”. «A Londra – riferisce De Corato – le telecamere in metropolitana scattano anche per l’abbigliamento trasandato». Le immagini vengono inviate direttamente, in 25 secondi, cosicché la questura, la caserma o la centrale dei vigili urbani più vicina può avere l’informazione e quindi intervenire. Fino a quel momento nelle stanze di controllo i monitor restano grigi in attesa che la telecamera si allerti automaticamente e proietti l’immagine sul video.
Forse potrebbe essere utile un lavoro di approfondimento specifico per cercare di individuare nelle politiche e nelle strategie dei governi, in particolare occidentali, le tracce delle esperienze acquisite da Israele nell’occupazione sessantennale delle terre palestinesi. Tante sono le informazioni che trapelano su media o siti non certo sovversivi, non mancano gli esempi concreti di tecniche di controllo e aggressione e di una presenza massiccia di Israele nelle varie pratiche governative di intervento interno ed esterno ai confini. Quel terribile laboratorio che si sperimenta sui territori e le popolazioni palestinesi esporta schemi e modelli in tema di propaganda e di pratiche repressive. Ha acquisito una tragica esperienza di strategie di guerra, di fronteggiamento e gestione della guerriglia, di militarizzazione dei territori, di controllo delle città, di addestramento di eserciti di soldati e di mercenari, di intervento in situazioni di conflitto fuori dai confini nazionali, di come si interviene per spianare la strada al business delle ricostruzioni, di gestione dei disastri, di controllo di “eccedenze di umanità”, di sperimentazione di nuove forme di pressione sulle popolazioni per vedere fin dove ci si possa spingere, di costruzione di barriere per separare, isolare masse di gente da ridurre in schiavitù, colpire ed espellere, di come si manovrano le informazioni a favore dei gruppi di potere, delle lobby e, non ultimo, di speculazioni finanziarie per spostare ingenti capitali nelle mani di chi di dovere per ridisegnare sempre nuove e più garantite alleanze. Le operazioni di guerra esterna e di gestione dell’ordine pubblico interno si stanno sempre più caratterizzando per una mescolanza di modelli di intervento. Non a caso le guerre vengono chiamate anche operazioni di polizia internazionale e gli eserciti pattugliano le città. Israele, dalla prima Intifada del 1987, gestisce un conflitto armato che vede i palestinesi contemporaneamente come un nemico esterno e un problema di ordine pubblico interno e la scuola di formazione militare israeliana è specializzata nell’addestramento di truppe con l’utilizzo di metodi tipici della polizia. Il soldato israeliano svolge funzioni di ufficiale di polizia, di giudice, infligge sanzioni penali e ammonizioni “educative”. Dal punto di vista militare Israele rappresenta il maggior laboratorio del dopoguerra in cui si sperimentano vecchie e nuove armi e strategie, guerra asimmetrica, operazioni coperte, controllo del territorio, propaganda antiterrorismo, criminalizzazione del nemico. Termini come “terrorismo”, “sicurezza”, “stato di emergenza”, di matrice militare, sono divenuti mantra di una nuova semantica della propaganda occidentale avendo alle spalle l’esperienza dell’utilizzo che ne ha fatto Israele. I palestinesi per anni sono stati identificati semplicemente come “i terroristi”. Quello che è stato fatto del senso del termine “sicurezza”, per oscurare le responsabilità di chi la mette in discussione provocando distruzione e morte e per attribuirle invece a chi risponde con i pochi mezzi a disposizione, è un ribaltamento di senso del quale conosciamo bene la portata. In Israele questo rovesciamento si è costantemente alimentato della immensa sproporzione tra il rilievo dato, per esempio, alle risposte palestinesi rispetto agli attacchi da essi subiti da uno degli eserciti più potenti del mondo. La “sicurezza” è stato il cavallo di Troia per consentire allo stato di Israele di intervenire comunque e ovunque con efferata violenza. I controlli di polizia, i posti di blocco e uomini in divisa nelle città sono all’ordine del giorno anche dentro Israele la cui popolazione si è abituata a queste presenze come se fossero naturali. Direi che anche in questo campo le indicazioni che arrivano da quel paese sembrano essere state pienamente accolte e utilizzate in gran parte del resto del mondo. Ultimo aspetto che vorrei sottolineare è l’esercizio del potere attraverso il registro dell’emergenza di cui lo stato d’Israele si avvale da sempre. L’emergenza che ha finito per essere un elemento costante e duraturo, che informa leggi e pratiche repressive.
In quello che segue mi limito a segnalare alcune pratiche d’intervento militare israeliano che possiamo ricollegare, a volte con immediatezza a volte con qualche riadattamento, a quelle che vediamo rendere operative nel paese in cui viviamo. Lo stato di Israele non nasce nel nulla ed è evidente come esso stesso si sia servito, e si serva, di modelli che vengono da altre esperienze passate o attuali di governo della cosa pubblica e della questione militare.
Il materiale è tratto, con ampi stralci non evidenziati ma inseriti nel discorso, da fonti che indicherò alla fine dei diversi passaggi o in chiusura in modo da poter approfondire. Non è un lavoro articolato, ma è pensato nella forma di una serie di annotazioni.