World Refugee Day? Ogni giorno la Nakba: tra memoria e lotte

Intervista a B. J., compagno che vive nel campo profughi di Aida.

nakba1)    Perchè è ancora importante e centrale parlare della Nakba e di conseguenza del diritto al ritorno per sconfiggere il sionismo e la sua pretesa “maggioranza demografica”?
Bisogna continuare sempre a parlare della Nakba perchè la Nakba non è ancora finita. Non è finita perchè noi non siamo ancora ritornati nelle nostre terre che sono state occupate dagli israeliani. Dopo l’occupazione e l’uccisione di tanti/e palestinesi, noi dobbiamo continuare a parlare della Nakba di generazione in generazione perchè così noi possiamo combattere la politica di Israele che vuole ucciderci ed eliminarci così chi resta non sa e non ricorda. Parlare della Nakba è una forma di resistenza perchè gli israeliani vorrebbero cancellare la Palestina.

Al campo profughi di Aida, abbiamo scritto i nomi di tutti I villaggi palestinesi, quando sono stati occupati e distrutti perchè tutti devono sapere, anche I bambini, che dove gli israeliani vivono, quella terra è della Palestina. Loro vogliono cambiare la geografia della Palestina. Infatti hanno cambiato I nomi di città e di villaggi dopo che li hanno occupati. Gli israeliani stanno facendo lo stesso degli spagnoli nei paesi baschi: vogliono cancellare la terra nostra e la nostra gente e metterci la loro gente. Ma noi non lo permetteremo.

2)    Qual è la situazione nei campi profughi, che ruolo svolgono l’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazionedei profughi palestinesi) e le numerosissime Ong per “normalizzare” la condizione dei rifugiati attraverso l’assistenzialismo totale? Com’è la situazione invece nei paesi arabi limitrofi (Siria, Libano, Giordania..) si riesce a mantenere una forte attività politica?

Prima cosa che voglio dire è che senza i campi profughi, in Palestina non c’e’ la vera politica. La politica fatta di azioni e di resistenza, non di parole.
Secondo me, l’UNRWA e le ONG vorrebbero cambiare la mente della gente che vive nei campi. Fanno questo attraverso i programmi e i progetti che fanno allontanare i giovani dalla politica. Nessun programma o progetto affronta la questione politica. Qui in Palestina, non si tratta di distribuire cibo, fare scuole o ospedali. Qua il problema è politico. Le organizzazioni non prendono posizioni dirette contro Israele. Molte organizzazioni internazionali dicono che chi è contro Israele e che chi resiste, è un terrorista. Ma lo fanno per avere i soldi per i loro progetti. I soldi glieli danno i paesi occidentali. Israele è anche l’Occidente qua e tutti i paesi che appoggiano Israele e non prendono posizioni politiche chiare a fianco della popolazione palestinese. Le Ong non lavorano nei campi profughi. Nel campo di Aida, dove vivo io, non ci sono Ong. Il fatto che loro non lavorano nei campi profughi, vuol dire che loro fanno quello che Israele vuole cioè fare diventare legale la condizione di profugo, che e’ illegale.
UNRWA, invece, ad Aida ha solo una scuola e lavora per la pulizia delle strade. Alcune volte mandano cibo ma solo per alcune famiglie non per tutti.
I campi profughi dentro la Palestina stanno meglio rispetto ai campi fuori perchè la gente che vive nel campo dentro la Palestina, si sente vicino alla sua terra. Possono meglio sistemare le loro case, costruire e vivere meglio. I campi palestinesi nei paesi quali Siria, Libano e Giordania, non vivono bene. Per esempio in Giordania stanno un po’ meglio perchè i/le palestinesi possono comprare la terra e riescono anche a trovare lavoro. Nei paesi quali Siria e Libano questo non è possibile e si sentono emarginati.

Bethlehem-nakba-1948-shirt3)    Come si arriva ad una certa formazione politica attraverso l’utilizzo della memoria storica delle lotte, dei protagonisti e delle vicende palestinesi? Il carcere svolge ancora questo ruolo di formazione? Le scuole riescono a formare giovani palestinesi in tal senso? altrimenti come intercettate e diffondete le vostre prospettive politiche nella società palestinese? (es. attraverso l’attività sindacale nei posti di lavoro, attivisti all’università, comitati nei villaggi e nei campi profughi.. come si articola questa possibile rete?)

Per rispondere a questa domanda io parlo anche del Fronte Popolare. Per il Fronte Popolare, la politica non si studia a scuola o all’università, ma si impara facendo attività politica tutti i giorni per strada con i/le compagn*.
La nostra memoria storica e la nostra coscienza politica viene dalla storia della Palestina e dalla letteratura, ma la politica la facciamo tutti/tutte insieme parlando e confrontandoci. Per esempio noi facciamo politica anche quando organizziamo i campi estivi per bambin*. Vengono divisi in gruppi e ogni gruppo porta il nome delle città o dei villaggi che sono stati occupati dagli israeliani. Noi raccontiamo la storia dei villaggi e delle città ai bambini e loro devono sapere tutto quello che è successo sulla loro terra in passato.
La politica noi la facciamo organizzandoci in gruppi e lavorando nei campi profughi, nelle scuole, nelle università, nei posti di lavoro. Si va, si parla, si racconta, si organizzano manifestazioni e azioni da fare. Noi del Fronte facciamo una specie di attività politica che coinvolge tutti/e e parte dal basso, dalla gente. Le carceri, poi, sono molto importanti perchè chi sta in caercere, è stato arrestato perche’ faceva politica. Quando gli israeliani arrestano i giovani e li mettono in carcere, i giovani imparano perchè i più anziani, i prigionieri politici, raccontano loro e insegnano loro.
Non è la scuola che ci insegna la politica, ma la vita. La scuola ci insegna la storia, ma la politica la facciamo noi per strada. I gruppi sono lo strumento con cui noi ci leghiamo alla società palestinese .

4)    Come possiamo noi oggi, dall’Europa supportare la vostra lotta in chiave realmente internazionalista e non semplicemente umanitaria? Quali sono le campagne principali i nodi fondamentali da attaccare?

Parlare del BDS è molto importante. Bisogna far capire a tutti/e cosa succede qua in Palestina ogni giorno e soprattutto la minaccia esterna del colonialismo occidentale.

5)    In ultimo: qual è il poeta o scrittore e relativa poesia o opera  palestinese che gli ha lasciato di più, che è legato alla sua storia personale, che parla di resistenza e contrasto all’oppressione? Quanto una certa “cultura” (di resistenza, di sinistra, rivoluzionaria) aiuta a formare un’identità capace di non fermarsi mai di fronte al nemico, di non degenerare nella vendetta cieca, di mantenere fermi i propri ideali, strategie, prospettive senza cadere nella corruzione, nella scalata sociale, nell’odio fine a sè stesso?

La politica noi la facciamo per strada e poi leggendo i nostri grandi poeti e scrittori. Per esempio quando leggi Khanafani impari la politica perchè ricordi e conosci la storia palestinese e i suoi fatti. Khanafani e Darwish, hanno dato un contributo importante alla resistenza palestinese perchè il loro modo di parlare di resistenza è fatto di fatti, non di parole. Per questo Khanafani e Naje sono stati ammazzati dagli israeliani. Loro ci hanno raccontato la Palestina e la sua resistenza attraverso la storia di persone comuni palestinesi e la loro vita. Sono entrati nella vita delle persone e ci hanno raccontato come ognuno fa la sua resistenza tutti I giorni della propria vita.

B. J.

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