Io Omonazionalismo prendo te Sionismo come mio sposo: Cime di Queer non ci sta!

Riceviamo e pubblichiamo il comunicato del Collettivo Cime di Queer riguardo la contestazione del 3 aprile a Bari contro la propaganda sionista e la normalizzazione della lotta delle soggettività LGBTIQ.

pinkw3.4.2013
“Oggi il collettivo Cime di queer, durante la conferenza barese promossa da un’associazione locale insieme alla CGIL, ha contestato la riproposizione del matrimonio omosessuale in termini etero-normativi e la presenza del sionista Franco Grillini, noto sostenitore di Israele.

In questi mesi a Bari si sta portando avanti una campagna di sensibilizzazione sul tema dell’estensione del matrimonio alle coppie omosessuali.

In quanto soggetti queer e rivoluzionari, consci del fatto che i soggetti omosessuali non abbiano gli stessi diritti riconosciuti legislativamente agli eterosessuali, riteniamo che il matrimonio non sia una rivendicazione includente bensì uno specchio delle dinamiche discriminatorie e subalterne tipiche della “cultura” etero normativa.

Il concetto di matrimonio ci riporta indietro, alla fallimentare lotta LGBTIQ di pochi anni fa, quando si riteneva che gli omosessuali per essere soggettività “integrate” dovessero normalizzarsi, appiattendo le loro eccentricità. La normalizzazione non ci piace e non ci interessa, per questo abbiamo spostato il dibattito sulla lotta ai diritti individuali minimi e fondamentali (come la libertà dei migranti di circolare liberamente nel territorio europeo o l’accesso al welfare dei soggetti LGBTIQ in quanto singolarità).

Ciò a cui mira l’estensione del diritto al matrimonio è l’inglobamento normalizzante dei soggetti lgbit nella società italiana attuale,ovvero l’omonazionalismo. Con tale termine è indicata l’accettazione e l’inclusione di alcuni omosessuali nello stato-nazione. La nuova cittadinanza gay, accettata sulla base dell’appartenenza alla nazione, viene creata alle spese di coloro che rappresentano forme di alterità razzializzate o sessualizzate,coloro che non potranno mai pienamente appartenere alla nazione.L’omosessualità nazionalista viene rigirata come un marchio che regola chi può essere considerato un cittadino gay per bene, mentre rinforza stereotipi razziali e sessuali, giustificando l’esclusione sociale di intere popolazioni.

Collegato a questo tema vi è la strategia sionista del “Pinkwashing”, pratica che consiste nell’occultamento della violazione dei diritti umani dei Palestinesi, sotto la copertura di un’immagine di modernità esemplarizzata dalla vita gay israeliana.

Accade oggi che Israele (lo stesso popolo vittima di atrocità durante l’epoca del nazi-fascismo), per nascondere il genocidio in corso contro il popolo palestinese, promuova una politica gayfriendly tutta mainstream per ripulire la sua politica di natura assassina.

I gruppi LGBTIQ mainstream vengono finanziati da personalità filo-israeliane, con lo scopo di essere  tutti omosessuali in carriera, con la pelle bianca e che “sposano”, appunto, la pratica omonazionalista tout court.

Ci opponiamo dunque a qualunque forma di omonazionalismo, che vede i soggetti lgbit appiattirsi alle logiche economiche, politiche e fisiche di una società eteronormata; una società che non accetta nè riconosce la diversità eccentrica dei soggetti lgbit e che ci vuole tutt* normalizzate o presunt* tali. Una società che in cambio dell’anonimato (anche come soggettil gbitq) ci illude della concessione di diritti. O, forse, siamo noi a credere in tale illusione in cambio del nostro appiattimento?

Ecco perchè, dunque, riteniamo importante una riflessione sui diritti di ieri e di oggi. Perchè se i diritti di oggi non tengono conto delle nostre insanabili diversità non sappiamo che farcene di matrimoni di serie B.

Collettivo Cime di Queer per la liberazione del popolo palestinese!
“Noi, lesbiche-gay-trans, dobbiamo proteggerci contro questo nuovo odio verso gli immigrati”. Judith Butler

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Egitto – La riconquista della dignità

egyLa “Riconquista della dignità” è il nome della giornata di lotta del 22 marzo 2013, in cui centinaia di manifestanti si sono diretti verso il quartier generale dei Fratelli Musulmani che si trova sulla collina del Moqattam. Un’organizzazione che martedì scorso è diventata una ONG a tutti gli effetti dopo la richiesta ufficiale al Ministero dell’Interno che in un giorno ha approvato la domanda, nonostante sia illegale dagli anni ’50. Infatti dal nome iniziale della sede “jamaa Islamiya” ovvero Fratelli islamisti sono diventati “jameya Islamiya” ossia associazione islamica. Continuano ad essere illegali per le regole di qualsiasi ONG, che non dovrebbe avere nessun legame politico né religioso, ma i FM sono tutto questo ed è intuibile il motivo per il quale siano riusciti a diventarlo. La tensione è cresciuta dopo gli avvenimenti della settimana scorsa, sempre al Moqattam davanti alla loro sede, in cui alcuni rivoluzionari si erano diretti per manifestare il proprio dissenso contro Morsi e la sua “Fratellanza” e in cui ad alcune scritte e ad alcuni graffiti, hanno risposto con la violenza soprattutto contro le donne.
egy2In particolare si è diffusa una foto di una ragazza schiaffeggiata da uno di loro, e ancora l’uso spropositato della violenza contro i giornalisti/e o chiunque cercava di documentare ciò che stava accadendo.

Quest’ultimo episodio, le morti per tortura eseguite dalla polizia e le uccisioni a freddo ed in generale la forte ondata repressiva che ha visto la morte di moltissimi ragazzi da quando Morsi è al potere, hanno portato alla chiamata per questo venerdì. Nessuno dimentica Al-Husseini Abu Deif, ucciso con un’arma da fuoco davanti al palazzo presidenziale, Kristy, Gika, Yussef al Gendi e Mohammad al Shafaii rimasto per più di un mese nascosto nell’obitorio o l’agghiacciante morte del piccolo Omar Salah, il giovane venditore ambulante, e come loro purtroppo tanti altri.

Dopo la preghiera sono iniziati i cortei da varie zone del Cairo come Sayeda Aisha. Da subito sono iniziati gli scontri con le milizie dei FM che si trovavano sulla salita del Moqattam. Molti dei loro autobus, con cui reclutano gente dai paesini limitrofi, sono stati bruciati. Alcuni manifestanti si trovavano già da tempo nella piazza centrale della zona, dove anche lì la guerriglia si è accesa con un confronto faccia a faccia e un incessante lancio di pietre e non solo. Molti esponenti dei FM sono stati catturati dai manifestanti. Molti di loro come unica via di uscita hanno deciso di nascondersi nella moschea che si trovava nella strada della piazza centrale e sono stati bloccati dentro dai manifestanti finché le forze dell’ordine non sono intervenute per liberarli durante la sera. Al contrario, loro  hanno sequestrato vari rivoluzionari nelle moschee e dopo averli torturati li hanno rilasciati all’alba senza vestiti in mezzo alla strada.
La rabbia e la forza con cui sono stati respinti i FM li ha costretti ad indietreggiare. Verso sera gli scontri si sono spostati vicino alla sede del quartier generale in cui un forte dispiegamento di polizia era fermo in una strada laterale, e pronto a difendere il covo spalleggiandosi con un blocco delle milizie della Fratellanza pronte a respingere i rivoluzionari. La loro inadeguatezza nel confronto diretto li ha portati a cercare diverse strategie per bloccare la rabbia e di reprimere la furia della gente, come ad esempio il tentativo di cercare rifugio nelle case degli abitanti della zona sequestrando una famiglia.
La resistenza era troppo alta e la tenacia dei manifestanti inarrestabile, così hanno perso da tutti i punti di vista.
Che i FM continuano a perdere consensi lo ha dimostrato una giornata come ieri in cui la rabbia è esplosa e la sete di vendetta era e continua ad essere il vero sentimento che anima i manifestanti, donne, uomini, ragazze e ragazzi e molti i bambini. Non solo, anche la loro perdita nelle elezioni universitarie, nelle elezioni dei sindacati dei giornalisti e dei farmacisti. In tutto l’Egitto le loro sedi continuano ad essere bruciate e questo è un segno chiaro della volontà del popolo che vuole giustizia a tutti i costi e trova il modo per riappropriarsi della dignità che ogni giorno la “Fratellanza”, come la giunta militare o le forze dell’ordine cercano di rubare. Con rabbia e con amore continua la guerriglia.

Video a cura di “The Mosireen Collective con interviste ai manifestanti sequestrati dai Fratelli Musulmani e torturati all’interno della moschea

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Aida camp – Dax Vive –

aida per daxPubblichiamo una foto che i/le antifascist* del campo profughi di Aida (Betlemme) ci hanno mandato come contributo a questa giornata di lotta.

Una scritta in ricordo di Dax proprio davanti la torretta militare carbonizzata dalla resistenza palestinese del campo profughi: l’antifascismo e la degna lotta contro il colonialismo sionista e i suoi dispositivi oppressivi.
Ricordando Dax non smetteremo mai di ricordare anche Rachel, uccisa dal colonialismo sionista proprio il 16.03.2003 a Gaza.

10 anni dopo, le lotte di Dax e Rachel vivono nelle nostre, l’amore per i compagni e le compagne uccis* alimenta la nostra rabbia.

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Coloni israeliani distruggono un campo di ulivi a Nahalin (Betlemme)

Naeim Abdel Rahman Fannoun è un anziano signore palestinese proprietario di un piccolo pezzo di terra nei dintorni di Nahalin (Betlemme), al confine con due colonie illegali, Gavaot e Rosh Zurim.
La notte del 4 Marzo 2013, un gruppo di coloni ha tagliato 80 ulivi sul suo terreno. Questi alberi avevano tutti almeno quarant’anni di vita.

Il campo di ulivi di Naeim, inoltre, si trova esattamente in mezzo alla strada che collega l’area di Etzion con quella di Beit Shemes in Israele e, secondo le mire israeliane, sul suo terreno verrebbe costruita la strada che collegherebbe quest’area con Tel Aviv. I coloni, quindi, con l’appoggio dell’esercito compiono queste azioni per intimidire e per costringere Naeim e gli altri proprietari delle terre circostanti, ad abbandonarle.

Questi però non sanno che questa terra appartiene alla famiglia Fannoun da molte generazioni — come ci ha spiegato Naeim — e che nonostante tutto lui continuerà a lavorarla, non lasciandola in pasto alle mire espansionistiche dell’occupazione sionista dell’area.

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7 e 8 marzo: due giorni di iniziative durante “Israeli Apartheid Week 2013”

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Dal campo profughi di Aida: giornata di lotta in solidarietà con Arafat Jaradat

Ascolta la corrispondenza registrata e trasmessa dalle frequenze di Radio OndaRossa

Ieri al campo profughi di Aida ci sono stati duri scontri tra forze di occupazione israeliane e i giovani palestinesi dei campi profughi di Aida, al-Azza e Diesha in solidarietà con il martire Arafat Jaradat, 30 anni padre di due figli, ucciso l’altro ieri dalla polizia carceraria israeliana, in seguito alle percosse subite durante l’interrogatorio. Gli shebab (arabo per “giovani palestinesi”) hanno dato vita ad un corteo verso la tomba di Rachele, vicino al campo profughi di Aida.

La manifestazione è stata subito interrotta dall’intervento dei soldati israeliani, che hanno sparato lacrimogeni e proiettili rivestiti di gomma e non, colpendo due bambini di 10 e 11 anni. Quest’ultimo, Mohammed Khaled al-Kurd, è stato trapassato all’altezza del polmone sinistro, ed è stato subito ricoverato in fin di vita all’Ospedale di Beit Jallah, a Bethlemme. Questa volta i soldati israeliani hanno fatto uso di silenziatori per sorprendere il giovane, che stava giocando con dei suoi amici.

In tutta risposta i giovani palestinesi hanno iniziato a lanciare pietre e bottiglie molotov contro la torretta di controllo israeliana vicino ad Aida, bruciando anche diversi pneumatici. I soldati, nascosti all’interno della torretta, hanno più volte sparato lacrimogeni CS e protietti di metallo rivestiti di gomma dura ad altezza d’uomo. Gli scontri sono continuati fino a tarda serata.

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Egitto – Omar Salah Omran: quando la repressione porta alla morte

Testimonianza raccolta da Nazli Hussein, May Saad, Rasha Azab, Ahmad Abdel Rahman, Ahmad Korashi.
Traduzione di Lina A.

OmarEgyTutti i giorni parliamo della repressione, dell’ingiustizia e della povertà come se li conoscessimo. Li conosciamo da lontano ma Omar li conosceva da vicino. C’è un video che gira su internet in cui Omar parla del carretto di patata su cui lavorava…Con lo sguardo lontano dalla telecamera dice: “Sono stanco di questo lavoro” e dice anche che suo padre, che lavora su un altro carretto di patata vicino al suo, è morto anche se non è vero. La repressione e la violenza sta nel fatto che un bambino come Omar sia costretto a mentire nella speranza di imparare a leggere e scrivere e nella speranza in una vita diversa, lontano dal carretto di patata.

Non siamo scandalizzati dal fatto che Omar abbia detto che suo padre fosse morto perchè, chi vive la vita di “piazza”, sa che la maggior parte dei bambini di strada sono a volte costretti a mentire per superare le difficili condizioni di vita e questa per noi è una giustificazione auspicabile. Ma le giustificazioni a volte sono atroci e piene di dolore come nell’esperienza di questo bambino ucciso.
La storia reggeva finchè non ci siamo accertati che la foto “del bambino sconosciuto”  fosse il “venditore di patata” di cui non si sapeva altro che la notizia della sua morte.
Veniva chiamato “il venditore di patata sconosciuto” fino alla mattina del 13 febbraio giorno in cui è iniziato il viaggio della ricerca tra l’ospedale Al-Mounira e l’obitorio e anche dopo la diffusione del video non potevamo ancora dire che era lo stesso bambino. Ma il medico che ha accolto il corpo di Omar nella sala d’accoglienza dell’ospedale dopo aver visto il video ci ha confermato che era lui, allo stesso tempo ci siamo accertati dalla fonte che era andata all’obitorio di Zeinhom del nome del bambino “Omar Salah Omran”,  il venditore di patata che lavora con suo padre nella zona di piazza Tahrir.

Nell’ospedale pubblico Al-Mounira c’erano alcuni medici che hanno trattenuto nel loro cuore ciò che era accaduto quel giorno e ce ne hanno parlato in tutta sincerità.
Ci hanno raccontato che il cadavere del bambino era arrivato alle 15.40 del 3 febbraio trasportato da un’ambulanza che arrivava dalla zona di piazza Tahrir. Nell’ambulanza c’erano le forze dell’ordine che erano rimaste davanti la porta dell’ospedale senza entrare e non hanno detto che l’ambulanza aveva trovato il cadavere del bambino davanti l’edificio dell’Accademia dei servizi sociali che si trova a Garden City. I medici hanno visitato il corpo e il motivo della morte era un proiettile che aveva oltrepassato il cuore del bambino che è morto all’istante, i medici hanno dichiarato quanto visto all’ambulanza… Ma diversamente da quello che fa di solito in questi casi l’ambulanza ossia di portare il corpo e andarsene, c’era l’insistenza di rimanere con il cadavere. Tra i presenti all’ospedale c’era Mohamad al-Sharqawi il capo investigativo della questura di Sayeda Zeinab. Il cadavere del bambino è rimasto nell’ambulanza per 45 minuti e con grande sorpresa chi guidava l’ambulanza insisteva nel trasferimento del corpo dall’ospedale insieme ai suoi amici poliziotti, nonostante tutto ciò non è accaduto, contro ogni regola o legge. Di solito qualcuno del tribunale si presenta all’ospedale per portare avanti le procedure necessarie, il reparto investigativo dovrebbe mettere a verbale il tutto e chiedere al tribunale lo spostamento del corpo al medico legale nell’obitorio di Zeinhom. Il corpo del bambino al contrario di quanto detto è rimasto nel cella-frigo dell’ospedale e questo non è mai accaduto prima.
Il capo investigativo della questura di Zeinhom, Mohamad al-Sharqawi è rimasto e la situazione non è cambiata finchè l’ambulanza non ha trasportato il corpo. I medici hanno cercato di evitare e fermare il trasferimento ed insistevano perchè si facesse un decreto, ma questo non è avvenuto e non è stata registrata l’entrata di Omar Salah o del “cadavere sconosciuto” nell’ospedale. Continua a leggere

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Egitto: con rabbia e con amore continua la guerriglia

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=QpVLUIa3ftU

Mancano le parole per descrivere la brutalità e la ferocia con cui per le strade del Cairo continua la repressione. Sempre più dura, sempre più spietata. Numerosi i casi di molestie, abusi e violenze sessuali a piazza Tahrir. È ormai assodato che ci sono gruppi organizzati. E’ dal 19 novembre scorso che nelle strade ci sono scontri con i fratelli musulmani che hanno portato alla morte di molti ragazzi con armi da fuoco mirati alla testa, centinaia di feriti e altrettanto gli arresti. Una pausa di qualche giorno per culminare con l’anniversario della Rivoluzione del 25 gennaio con l’ondata dei così detti “black bloc” che in realtà altro non sono che un nome inventato dai mass media e che la polizia usa per legittimare la violenza e la repressione. Il centro del Cairo è blindato da mura che il Ministero dell’interno continua a costruire intorno la loro roccaforte per proteggersi da pietre e molotov. Il 26 gennaio la condanna a morte di 21 ragazzi accusati di aver partecipato al massacro nello stadio di Port Said. L’Egitto però sa cosa accadde quella sera di un anno fa quando vennero spente le luci nello stadio e 74 ragazzi degli Ultras Ahlawi furono lanciati dalle tribune e uccisi brutalmente dalla polizia che ha continuato il suo sporco lavoro, macchiandosi di sangue, picchiando e pestando anche chi veniva soccorso dalle ambulanze. Lo stato come sempre assolve se stesso e sceglie 21 capri espiatori da condannare per lavarsi le mani. Alla notizia della sentenza le famiglie e la gente di Port Said decide di attaccare la prigione. Iniziano gli scontri e i morti arrivano a 31. Il 27 gennaio neanche durante i funerali c’è tregua e la polizia lancia gas lacrimogeni e continua a sparare. I morti sono 7.

Tutto il paese è in rivolta dal Cairo a Port Said ad Alessandria a Suez e Ismaeliya, la popolazione è per strada e sa bene in ogni occasione chi è il vero nemico: dall’esercito alla polizia alle milizie dei fratelli musulmani. Il presidente Morsi, fantoccio, schiavo dell’Europa, dell’Arabia Saudita, del Qatar e dell’America decide di indire il coprifuoco e istituisce la legge marziale nelle città di Port Said, Ismaeliya e Suez. Davanti alla rabbia del popolo neanche questa carta ha funzionato e in ogni città le strade sono piene dall’ora del cosiddetto coprifuoco ossia dalle 21 di sera. Al Cairo il 28 gennaio in ricordo del “venerdì della rabbia” del 2011 un corteo partito dal quartiere Sayeda Zeinab decide di circondare i blindati che da giorni lanciano gas e sparano cartucce verso il ponte di Asr al aini. La polizia nel panico più totale investe tre persone e accerchiati dai manifestanti lasciano i blindati e scappano, uno di loro verrà preso dai manifestanti per poi essere riconsegnato. Quattro le camionette andate a fuoco. Gli arresti sono numerosissimi dall’inizio degli scontri si parla di centinaia e centinaia di arrestati. La strategia del Ministero dell’interno è di non rivelare il loro luogo di detenzione per continuare a picchiare e torturare. Le famiglie girano di questura in questura o (di ospedale in ospedale) per sapere se tra la lista degli arrestati ci siano i loro figli. Alcuni sono tutt’ora dispersi, altri sono in terapia intensiva o con proiettili alla testa o picchiati e in fin di vita. Molti i minorenni. Alcuni vengono rilasciati solo dopo cauzione, ad altri prolungano i giorni di detenzione di 4 in 4. I giorni non hanno nè un inizio nè una fine, gli avvenimenti si susseguono uno dopo l’altro tanto da confondersi, lo scenario si fa sempre più pesante. Il 1 febbraio dopo il corteo verso il palazzo presidenziale sono iniziati gli scontri e l’opposizione politica si è tirata indietro e ha lasciato il popolo di nuovo per strada contro la violenza e la brutalità della polizia. Un uomo è stato denudato e picchiato negli avvenimenti, ci sono stati 150 arresti, 48 feriti e 2 i morti, di cui un ragazzo di 23 anni Mohamad il cui soprannome è “Cristi”. Partecipati i funerali. Nonostante la forte ondata repressiva, la rabbia cresce e il popolo continua a scendere per strada per riappropriarsi della libertà, della vita e della dignità. Con rabbia e con amore continua la guerriglia.

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Jazz&Apartheid: Un blitz all’università romana La Sapienza contro il suono frastornante del colonialismo

fonte: BDS-Italia
lasapienzaMartedì sera l’Aula Magna dell’università romana La Sapienza ha ospitato uno spettacolo della pianista israeliana Anat Fort, con il patrocinio dell’Ambasciata di Israele in Italia.

Ma due mani affusolate da pianista non possono nascondere il pugno di ferro del colonialismo di Israele.

Circa 30 solidali con la popolazione palestinese, tra cui molti studenti e studentesse, hanno scelto di presentarsi a sorpresa all’ingresso, comunicando con chi intendeva partecipare. Mentre la security si dimenava nervosamente, molte persone hanno scelto di restare fuori e raccogliere più informazioni sull’operazione propagandistica “Brand Israel”, in alcuni casi rinunciando ad assistere ad uno spettacolo che non poteva più incantare nessun*.

Il concerto rappresentava, infatti, uno dei tanti tentativi da parte di Israele di usare la cultura per ripulire la propria immagine. Un’operazione della campagna “Brand Israel”, specificamente voluta e finanziata, a fior di milioni, dal governo israeliano, volta a nascondere dietro un’immagine positiva le politiche disumane che quello Stato continua a perpetrare contro il popolo palestinese.

Nelle facoltà organizziamo da anni dibattiti, iniziative di analisi ed approfondimento sulla resistenza palestinese e il sistema di dominio israeliano. Grazie al confronto collettivo è cresciuta la coscienza che ci permette, oggi, di organizzarci in un batter d’occhio per rompere il silenzio complice (o le melodie jazz) di cui si avvale il colonialismo sionista.

L’Ambasciata israeliana continua a strisciare nell’ombra tra le diverse iniziative culturali organizzate in città e sempre più spesso vedrà contrapposta la sanzione dal basso di chi rifiuta l’oppressione, in ogni sua forma e contro chiunque.

Alcune collaborazioni tra La Sapienza e università israeliane

Per maggiori informazioni sugli atenei italiani che collaborano con università e istituti israeliani, consulta il database CORDIS. Per sapere di più sul ruolo che rivestono le istituzioni accademiche israeliane nell’occupazione e l’oppressione della popolazione palestinese, vedi The Economy of the Occupation: Academic Boycott of Israel.

Accordi con l’Università ebraica di Gerusalemme
– Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Dip. Scienze biochimiche
Progetto Europeo 7º PQ-SECOA.
Dip Studi europei e interculturali.

Accordi con Technion, Istituto Tecnologico Israeliano
– Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Progetto Europeo 7º PQ-FIRST
Dip. Matematica

Accordi con la Bar Han University
– Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Dip. Matematica

Accordi con l’Istituto Weizmann per le Scienze
– Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Progetto Europeo 7º PQ-TANGO
Dip. Psicologia

Testo del volantino distribuito: Continua a leggere

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“Oltre il muro: la Palestina in lotta” 2 giorni al Volturno Occupato

PALESTINA

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