Il giorno della Nakba davanti il carcere israeliano di Ofer

Manifestazioni ovunque, in Palestina e in tutto il mondo, hanno portato nelle strade la lotta per l’autodeterminazione e per liberare la terra palestinese dall’occupazione militare israeliana. La memoria tiene viva la rabbia.
Anche nella giornata di ieri, così come nelle mobilitazioni degli ultimi mesi, è stata centrale la lotta dei prigionieri e delle prigioniere palestinesi che con estrema visibilità ha scavalcato le mura e le gabbie che la volevano soffocare.

Una lotta nelle carceri che, attraverso uno sciopero della fame compatto, è riuscita a rompere il silenzio, portando alla luce non solo le condizioni e le brutalità del sistema detentivo sionista, ma anche la “detenzione amministrativa” come dispositivo di controllo estremamente diffuso. Senza processo, senza un’accusa e quindi senza neanche una difesa legale e con la buona probabilità di continue proroghe, si veniva e si viene tuttora internati nelle prigioni come bottino del progetto coloniale. La prigione come specchio dell’esterno.

Dopo 28 giorni di sciopero della fame di massa e più di 2 mesi di mobilitazione continua nelle carceri, alla vigilia del giorno della Nakba, ecco l’accordo siglato dopo un incontro tra il comitato dei prigionieri in sciopero della fame e l’IPS (Israeli Prison Service), che prevede 4  punti principali e 1 davvero dubbio:
– la fine dello sciopero della fame appena firmato l’accordo
– la fine dell’utilizzo dell’isolamento a lungo termine per ragioni di “sicurezza” e lo spostamento di 19 prigionieri internati entro 72 ore.
– le visite per parenti di primo grado a Gaza e quelle per i familiari in West Bank interrotte con vaghe motivazioni di sicurezza, verranno ripristinate entro un mese.
– l’agenzia d’intelligence israeliana garantisce che verranno facilitati gli incontri tra prigionieri e IPS attraverso un comitato che possa portare al miglioramento delle condizioni nel quotidiano
– non ci saranno nuove ordinanze di detenzione amministrativa o rinnovi per i 308 palestinesi costretti in detenzione amministrativa, a meno che i “file segreti”, sui quali si basa la detenzione amministrativa, non contengano informazioni “molto serie”.

E così non terminerà la lotta contro la detenzione amministrativa, non con la promessa di diventare più “moderati” nell’applicazione, è così che la paura dell’inasprirsi del conflitto è toccata agli oppressori.

Partire dalle condizioni e dai bisogni è stato il primo passo per estendere la lotta e farla straripare nelle strade, i desideri però, ci porteranno ad urlare “Hanno (e abbiamo) vinto!” quando delle prigioni ne rimarrà una sola pietra.

Vi lasciamo ad un breve video che testimonia la giornata di ieri, con scontri davanti la prigione israeliana di Ofer, simbolo della detenzione amministrativa.

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13/05 Azione in solidarietà con la lotta dei prigionieri palestinesi – Ma’ale Adumin

Il giorno 13.05.2012, l’ingresso della colonia Ma’ale Adumin è stato bloccato da un gruppo di solidali con la lotta dei/delle prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane.
Durante il blocco stradale, durato più di un’ora paralizzando il traffico, due attivisti sono stati arrestati.

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Campo di Aida per la Nakba

Oggi pomeriggio i giovani del campo di Aida si sono riuniti e mentre tiravano pietre contro il “muro” la polizia palestinese ha fatto un’incursione dentro il campo e ha cercato di fermarli. Sono seguiti scontri tra i ragazzi e la polizia stessa e alcuni giovani sono stati picchiati e altri hanno risposto alle violenze con ulteriori lanci di pietre. Alle 19.30 i giovani si sono riuniti di fronte alla “chiave” per riunirsi nuovamente in manifestazione e hanno fatto il giro del campo di Aida, sono passati vicino al campo di Alazza, hanno costeggiato la “Tomba di Rachele”e sono tornati davanti al muro. A quel punto la polizia palestinese ritorna e seguono scontri, che attirano anche la presenza di quella israeliana. La manifestazione è stata organizzata in solidarietà con i prigionieri ancora in sciopero della fame e per commemorare l’anniversario della Nakba (catastrofe) che corre il 15 maggio.

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Moviengtogaza processo Arrigoni e Nakba

Gaza o la ami o la odi, non ci sono mezzi termini. La sua gente ospitale e gentile, sempre allegra e positiva, che guarda avanti e accoglie gli stranieri come amici di sempre. Gaza vuole sapere tutto di te e ti trascina fra i suoi mille vialetti e situazioni. Gaza non dorme mai, coi suoi blogger che scrivono e pubblicano fino a tardo mattino. Gaza della religione e delle tradizione, Gaza degli studenti arrabbiati che vogliono un futuro di verità e libertà. Gaza di chi ne ha paura e di chi ti protegge perchè sei straniero. Gaza che ti vede come un eroe perchè sei li e potresti non starci. Gaza dove tutto è più bello solo perchè si trova qui. Continua a leggere

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64° anniversario della nakba

LUNEDì 14 MAGGIO ORE 16:30
PALESTINIAN ROADS – AULA VETRI FACOLTA’ DI LETTERE SAPIENZA
proiezione di OCCUPATION 101
DIBATTITO CON :
__ MIRIAM MARINO SCRITTRICE DELLA RETE E.C.O (EBREI CONTRO L’OCCUPAZIONE)
__ I GIOVANI PALESTINESI IN ITALIA

*a seguire aperitivo palestinese

 

 

Martedi 15 maggio

Ore 17.30 a Piazzale Aldo Moro
Manifestazione della Nakba, da Piazzale Aldo Moro , (ingresso principale dell’università ” Sapienza” verso Piazza dell’Esquilino.
Serata a Piazza dell’Esquilino 
Ore 19.00 Iniziativa sulla Nakba palestinese

Saranno installati tende per simboleggiare gli attendamenti del 1948 e
per raccontare le storie dei palestinesi tramandate dai loro genitori/ nonni
di seguito collegamenti telefonici con: Layla Khaled militante e componente del Consiglio Legislativo Palestinese. Hanin Zoabi politica palestinese, membra del Knesset, rappresentante A.N.D. Concerti musicali, Cena palestinese, Danze di R-esistenza palestinesi, VJ e Dj-Set Resistance. Continua a leggere

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Le donne nella rivoluzione egiziana: Sabah Fawaz


Continuano le traduzioni di Freepalestine delle voci delle donne della rivoluzione egiziana. Il secondo episodio è dedicato a Sabah Fawaz Ibrahim di 52 anni conosciuta come Haga om Ali dei “ribelli di gennaio”. Un’altra potente voce delle donne che hanno partecipato alla lotta a Piazza Tahrir che raccontano la loro esperienza.

Guarda la prima intervista

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Volti da piazza Tahrir

Continuiamo a pubblicare gli audio documentario di Marco Pasquini, Luca Mandrile e Emiliano Sacchetti. Voci da piazza Tahrir è un progetto di documentazione crossmediale dedicato alla piazza simbolo della rivoluzione egiziana nei giorni della ripresa degli scontri e durante le prime elezioni post-Mubarak. Volti di Tahrir si compone di una serie di storie di piccolo formato, ritratti intimi che raccontano la vita di dieci ribelli. Sono episodi brevi di un audio-documentario a puntate, che intende testimoniare la molteplicità degli aspetti del mosaico della rivolta.

Tantawi non è arrivato dal cielo, non è un angelo apparso quando Mubarak si è dimesso. È un uomo che appartiene alla vecchia dittatura, è solo un’altra copia di Mubarak. Per questo dobbiamo continuare la nostra rivoluzione contro le Forze Armate, è l’unico modo per sbarazzarci del passato regime”. Hasan è uno studente dell’università Al-Azhar e non sa cosa sia la democrazia, non l’ha mai conosciuta. È sceso in piazza perché sua figlia, appena nata, cresca in un Paese diverso da quello in cui lui è vissuto.

:http://amisnet.org/podpress_trac/web/14734/0/08-HASAN.mp3

“In questi giorni sono più preoccupata di quanto non lo fossi prima della rivoluzione. Ho paura a camminare per strada, specialmente ora che c’è una chiara strategia volta ad eliminare fisicamente gli attivisti o renderli ostili agli occhi del popolo”. Afaf ha 48 anni ed è un’intellettuale ed una militante egiziana. Ha partecipato alla rivoluzione in prima linea, spaccando pietre e trasportandole ai manifestanti. Per lei Piazza Tahrir è l’unico luogo in Egitto in cui si sente realmente libera.

“… in mezzo alla piazza, dove c’era una folla impressionante, non c’era spazio neanche per muoversi. Così mi sono arrampicato più in alto. Avevo tutta Tahrir davanti: vedevo l’ambulanza, i manifestanti che la lasciavano passare e la gente che si richiudeva dietro di lei. Mi è venuto in mente il versetto del Corano dove Dio diceva a Mosè “Colpisci il mare con il tuo bastone perché le acque si separino””. Hany è un giovane manifestante ferito più volte dai proiettili della polizia e la sua testimonianza parla di un futuro diverso, soprattutto per le nuove generazioni.

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Checkpoint

Un video di 9 minuti che descrive la brutalità dei dispositivi di controllo israeliani sulla vita della popolazione palestinese.

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Ancora in carcere il solidale internazionale arrestato a Hebron, Israele si appella alla sentenza

Fonte: italy.palsolidarity.org

È stato vinto l’appello contro il reimpatrio forzato di Marco, l’attivista italiano di 32 anni arrestato ad Hebron (al-Khalil). Ciò nonostante Israele ha deciso di appellarsi alla sentenza e il caso sarà portato davanti alla Corte Suprema domenica 29 aprile o nei giorni immediatamente successivi. Di seguito una breve cronologia dei fatti.

– L ’11 aprile Marco si trova a Hebron per partecipare alla conferenza internazionale sulla resistenza popolare nonviolenta. Sta facendo ritorno alla conferenza dopo la pausa pranzo quando la polizia israeliana con l’aiuto dell’esercito arresta lui ed altre 13 persone con l’accusa di partecipare ad una manifestazione non autorizzata. Come mostrano i video non c’è stata violenza da parte degli attivisti e non era in corso alcuna manifestazione.

– Quattro di queste tredici persone, due palestinesi e due italiani, rimangono in carcere. Ai due italiani, Marco e Giorgio, viene dato il reimpatrio forzato senza alcun processo, la qual cosa è una brutta novità anche per il sistema giudiziario israeliano. Nel frattempo vengono entrambi spostati in un centro di detenzione per migranti in attesa di espulsione.

– Marco decide di resistere all’espulsione affrontando la detenzione per potersi appellare contro il fatto che gli sia stato assegnato reimpatrio forzato e carcere senza un regolare processo. Martedì 17, dopo quasi una settimana di carcere (comunque senza alcun processo o formale accusa), Giorgio viene reimpatriato.

– L’appello contro il reimpatrio di Marco ha luogo lunedì 23. Il giudice si riserva di decidere l’indomani, nel frattempo Marco viene trasferito nel carcere per i detenuti comuni di Givon. Martedì 24 il giudice non si presenta, e mercoledì 25 la sentenza afferma che l’appello è stato vinto da Marco. In tutto questo tempo, l’attivista per i diritti umani resta in carcere.
Nonostante sia stato vinto l’appello, le forze di occupazione si contro-appellano chiedendo l’intervento della corte suprema. Questo secondo processo dovrebbe avere luogo domenica 29 o nei giorni immediatamente successivi. Nel frattempo Marco resterà in carcere, pur non esistendo ancora alcuna accusa formale nei suoi confronti.

L’arresto e la tentata espulsione ai danni di Marco si inseriscono all’interno di un escalation ai danni degli attivisti in difesa dei diritti umani che si recano o manifestano l’intenzione di recarsi nei territori occupati palestinesi. Continua a leggere

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Comunità scossa dopo una nottata di attacchi incendiari contro i richiedenti asilo africani

Fonte: “Community shaken after night of arson attacks on African refugees” di Haggai Matar
Foto: Activestills

Anche se non condividiamo alcuni passaggi di queste interviste, pubblichiamo la traduzione di questo articolo perchè descrive la situazione e le opinioni di chi abita il quartiere di Shapira, a sud di Tel Aviv.

Nella giornata di ieri si è tenuta una manifestazione antirazzista alla luce di quanto accaduto la notte prima, non saranno carcere e tribunali a restituire la serenità alle persone colpite dallo squadrismo razzista, ma un cambiamento radicale della popolazione israeliana, coinvolta quotidianamente nell’oppressione, lo sfruttamento, il colonialismo, la militarizzazione e legittimata dal razzismo.

Comunità scossa dopo una nottata di attacchi incendiari contro i richiedenti asilo africani.

“Colpite alla stessa ora, con delle bottiglie molotov, quattro case e un asilo a sud di Tel Aviv, tutti luoghi utilizzati dalla comunità di richiedenti Asilo. Le testimonianze degli israeliani abitanti del quartire e degli stessi richiedenti asilo lasciano intendere che si sia trattato di un pogrom coordinato.

“Qualcuno sta cercando di liberarsi di questi maledetti Sudanesi”, dice questa mattina un residente israeliano di Shapira, quartire a sud di Tel Aviv. Il termine “Sudanese” è genericamente utilizzato dagli israeliani per descrivere tutti i richiedenti asilo Africani. La casa adiacente a quella di questo abitante del quartiere è stata colpita intorno all’ 01:30 da tre bottiglie incendiarie: due sono state lansciate dentro le finestre e una terza all’ingresso. Nessuno è rimasto ferito grazie al repentino intervento dei vicini che si sono svegliati e hanno spento l’incendio. Un’altra molotov è stata lanciata in un giardino del quartiere, dove cinque richiedenti asilo dormo all’aperto.
Gli arredi interni sono stati seriamente danneggiati ma nessuno dei residenti ha riportato ferite. I due attacchi sono verosimilmente collegati, come ha notato Mya:
“Chiunque ha fatto questo ha ragione, ma lo sta facendo nel modo sbagliato”, continua la vicina “Questo incendio ha quasi bruciato la mia macchina inoltre c’è anche una bambina in quella casa. Avrebbe dovuto aspettare finchè la casa non fosse stata vuota, e poi dare fuoco al posto per mandare loro un messaggio”.

Poco dopo i primi due attacchi, altre due case sono state colpite nello stesso quartiere. “Io e mio fratello stavamo dormendo e ci siamo svegliati per le fiamme vicino al mio letto” dice Maskala Masgene, un richiedente asilo Eritreo “Hanno aperto la finestra e hanno tirato la bottiglia attraverso le sbarre. Quando me ne sono accorto ho preso la bottiglia e l’ho tirata fuori in strada. Non sono potuto tornare a dormire. Sono troppo spaventato. Mi sembra di capire che non hanno ancora preso chi lo ha fatto. Ho già avuto esperienze di odio verbale nelle strade, ma niente di simile a quello che è che successo”.
L’appartamento adiacente è stato il quarto posto colpito. Qua la bottiglia è esplosa sulle sbarre della  finestra. Un’ altra donna eritrea con i suoi quattro bambini stavano dormendo all’interno, vicino alla finestra.

Il quinto attacco, intorno alle 2:30 del mattino, ha colpito un asilo utilizzato anche come abitazione per la coppia Nigeriana che lo gestisce. Le attrezzature bruciate dello spazio giochi sono ancora visibili la mattina successiva. “Veramente non ci siamo svegliati per l’incendio ma per i colpi dei pompieri sulla porta”, dice Balsin Bakara “Ci hanno detto di restare dentro, e adesso i bambini stanno arrivando e non hanno niente per poter gicare all’esterno. Non ho idea di chi possa aver fatto questo ma è terrificante”. Continua a leggere

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