Boicotta SodaStream: colonialismo frizzante, ecologia dell’occupante

sodaDal 4 luglio Sodastream ha lanciato in Italia una campagna pubblicitaria dei suoi prodotti, in TV e sui giornali arrivano le bollicine esplosive spacciate come idea innovativa e ambientalista.

Il rischio è che la gente, anche quella che nei mesi passati ha partecipato in massa alle mobilitazioni per l’acqua pubblica, più sensibile al sistema di “Riduco, Riuso, Riciclo” e consapevole degli enormi danni ambientali causati dalla plastica, ci caschi e lo consideri un modo sostenibile per non rinunciare alle bibite gassate o all’acqua frizzante.

Per questo ci sembra ancora più importante far girare queste informazioni e questo materiale, perché le persone, magari solidali con la popolazione palestinese, non si trovino ad essere sostenitori – inconsapevoli- delle politiche coloniali e razziste di Israele.
Qui potete vedere due bei video che evidenziano le vere responsabilità di Sodastream e dell’economia israeliana, cioè cosa c’è dietro quelle bollicine.

Nel testo della campagna di boicottaggio dei prodotti Sodastream  si legge che: “La sua principale fabbrica si trova in un insediamento israeliano nei Territori palestinesi occupati; gli insediamenti sono ritenuti illegali dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, dalla Corte Internazionale di Giustizia e da tutte le istituzioni europee.
Finanzia direttamente l’insediamento attraverso le tasse comunali che vengono utilizzate esclusivamente per sostenere la crescita e lo sviluppo dell’insediamento stesso.
Finanzia anche, tramite le tasse comunali, la famigerata discarica israeliana di Abu Dis, dove vengono scaricate 1100 tonnellate di rifiuti israeliani al giorno su terre rubate ai Palestinesi, inquinando corsi d’acqua e terre nelle vicinanze.
Ha sfruttato i lavoratori palestinesi, con paghe meno della metà del salario minimo, condizioni di lavoro terribili e licenziamenti per chi protesta, come documentato dall’organizzazione israeliana per i diritti dei lavoratori Kav LaOved.”

Qui il testo integrale della campagna.
Qui il volantino.
Qui lettere e comunicati vari sull’argomento.

BOICOTTA SODASTREAM, RIFIUTA L’APARTHEID!

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[Egitto] Ancora brevi aggiornamenti dal Cairo

Brevi considerazioni che ci sembra giusto condividere.

Ieri per la prima volta i FM non si sono fermati a ‘manifestare’ o a presidiare in uno spazio definito.
Ma hanno iniziato ad attaccare con armi pesanti alcuni quartieri e semplicemente la gente ha risposto con quello che poteva. Chi aveva armi le ha tirate fuori, i ragazzi ancora continuano a lanciare pietre e molotov, ma contro le armi pesanti possono poco. Quindi non c’è una zona in particolare, ma ormai il livello di veleno è talmente alto che puo’ accadere ovunque e la gente resiste e lotta perche non ne può più e li vuole fuori dalle proprie vite, ma a rimetterci con la vita siamo sempre noi.
I ragazzi che non hanno paura delle pallottole e dei proiettili che continuano a cadere senza sosta.

Il gioco dell’esercito è chiaro, poteva intervenire ieri e fermare il sangue che continua a ricoprire le strade dell’Egitto, ma ha fatto passi indietro e ha deciso di lasciare scorrere sangue e di inaugurare questa nuova fase che è una vera e propria guerra civile. E sicuramente arriveranno a degli accordi tra Scaf e Fm ed è chiaro dallo scenario che vediamo perpetuarsi nel loro giochetto che sa di marcio sin dal primo giorno.

Giusto per capirci ieri mentre c’erano scontri vicino a Maspero, che è ad uno sputo da piazza Tahrir, e la gente rimaneva ferita e molti venivano uccisi, c’era gente a pochi metri a piazza Tahrir che festeggiava con fuochi d’artifico e canti. La follia. Ma questo accadeva anche nella guerriglia di Mohamad Mahmoud, mentre il numero dei ragazzi uccisi aumentava, la gente li accanto festeggiava.

Fondamentalmente c’e’ chi scende per riempire le piazze  e pensa che in modo pacifico si risolvano con l’aiuto dello SCAF e delle guardie le cose (la gente non vuole morire) e chi continua a proteggere un sogno che giorno dopo giorno diventa quasi un incubo. Troppo sangue.

Con più rabbia che amore, continua la guerriglia.
CHE SCHIFO.

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“Sentiamo l’odore dei lacrimogeni da Rio a Taksim, fino a Tahrir”

Fonte in inglese: Jadaliyya
Grazie davvero a Stephanie per la traduzione veloce, buona lotta anche a te.

Comunicato uscito recentemente a firma “Compagn* del Cairo”

gasA voi, al cui fianco lottiamo,

Il 30 giugno segnerà per noi una nuova fase di ribellione, basata su ciò che è iniziato il 25 e il 28 gennaio del 2011. Questa volta ci ribelliamo contro il regime dei Fratelli Musulmani che ha rafforzato le stesse forme di sfruttamento economico, violenza della polizia, torture e uccisioni.

I riferimenti alla venuta della “democrazia” non hanno alcuna rilevanza quando non c’è la possibilità di vivere una vita decente con dignità e mezzi di sostentamento decorosi. Le rivendicazioni di legittimità, attraverso un processo elettorale, distraggono dalla realtà che in Egitto la nostra lotta continua perché siamo di fronte al perpetuarsi di un regime oppressivo che ha cambiato il suo volto sì, ma mantiene la stessa logica di repressione, austerità e brutalità della polizia. Le autorità mantengono la stessa mancanza di una qualsiasi responsabilità nei confronti del pubblico e posizioni di potere si traducono in opportunità per aumentare il potere e la ricchezza personali.

Il 30 giugno si rinnova l’urlo della Rivoluzione: “Il popolo vuole la caduta del sistema”. Vogliamo un futuro né governato dall’autoritarismo meschino e dal capitalismo clientelare dei Fratelli Musulmani, né da un apparato militare che mantiene una stretta mortale sulla vita politica ed economica, né da un ritorno alle vecchie strutture dell’era Mubarak. Gli schieramenti dei manifestanti che scenderanno in piazza il 30 giugno non saranno tutti uniti, ma questo deve essere il nostro appello, deve essere la nostra posizione, perché non accetteremo un ritorno ai sanguinosi tempi del passato.

Anche se le nostre reti sono ancora deboli, traiamo speranza e ispirazione dalle recenti rivolte, in particolare in Turchia e Brasile. Ognuna di queste nasce da diverse realtà politiche ed economiche, ma noi tutte e tutti siamo stat* governat* da circoli ristretti il cui desiderio di avere sempre di più ha protratto la mancanza di visione di un qualsiasi bene per il popolo. Traiamo ispirazione dall’organizzazione orizzontale del Free Fare Movement fondato a Bahia, in Brasile nel 2003 e le assemblee pubbliche che si stanno diffondendo in tutta la Turchia.

In Egitto, i Fratelli Musulmani hanno aggiunto solo una patina religiosa al processo, mentre la logica di un neoliberismo contestualizzato schiaccia il popolo. In Turchia una strategia di crescita aggressiva del settore privato si traduce altresì in un regime autoritario, la stessa logica della brutalità della polizia come arma primaria per opprimere l’opposizione e tutti i tentativi di immaginari alternativi. In Brasile un governo radicato in una legittimità rivoluzionaria ha dimostrato che il suo passato è solo una maschera che indossa mentre si schiera con lo stesso ordine capitalista a sfruttare sia le persone che la natura.

Queste recenti lotte condividono le lotte più vecchie in corso, come quelle dei curdi e dei popoli indigeni dell’America Latina. Per decenni, il governo turco e brasiliano hanno provato, ma senza riuscirci, a cancellare la lotta per la vita di questi movimenti. La loro resistenza alla repressione dello Stato ha fatto da precursore alla nuova ondata di proteste che si sono diffuse in tutta la Turchia e il Brasile. Noi vediamo l’urgenza di riconoscere la profondità di ognuna di queste lotte e cercare forme di ribellione in modo da espandersi in nuovi spazi, quartieri e comunità.

Le nostre lotte condividono il potenziale per opporsi al regime globale degli Stati nazionali. Sia in tempi di crisi che di prosperità, lo Stato – in Egitto sotto il governo di Mubarak, la giunta militare o i Fratelli musulmani – continua ad espropriare e privare al fine di preservare ed aumentare la ricchezza e il privilegio di chi è al potere.

Nessuno di noi sta combattendo in isolamento. Siamo di fronte a nemici comuni in Bahrain, Brasile, Bosnia, Cile, Palestina, Siria, Turchia, Kurdistan, Tunisia, Sudan, Sahara occidentale e in Egitto. La lista è lunga. Ovunque ci chiamano teppisti, vandali, saccheggiatori e terroristi. Stiamo lottando per qualcosa che è più dello sfruttamento economico, della violenza della polizia o di un sistema giuridico illegittimo. Non è per una riforma dei diritti o della cittadinanza che lottiamo.

Ci opponiamo allo stato-nazione come strumento centralizzato di repressione, che consente ad una élite locale di succhiarci la vita e alle potenze mondiali di conservare il loro dominio sulle nostre vite quotidiane. I due lavorano all’unisono, facendo uso di mezzi diversi, dai proiettili ai media e quant’altro c’è nel mezzo. Non stiamo chiedendo di unificare o equiparare le nostre diverse battaglie, ma è la stessa struttura di autorità e di potere che dobbiamo combattere, smantellare e abbattere. Insieme, la nostra lotta è più forte.

Vogliamo la caduta del sistema.

Compagn* del Cairo

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Israele – Ancora proteste contro la detenzione nel campo d’internamento per migranti di Saharonim

ShowImage.ashxSi riaccende la lotta dentro il lager per migranti di Saharonim, costruito da Israele nel deserto del Negev. Sono circa 300 le/i migranti african* internat* che da due giorni rifiutano il cibo passato dall’amministrazione carceraria.
Già nel mese di maggio vi abbiamo riportato le motivazioni della protesta delle persone internate che in quel caso si rifiutarono di entrare nelle celle per ben 3 giorni.

Il campo d’internamento di Saharonim costringe circa 1500 persone all’interno delle sue gabbie, lì rinchiuse si trovano intere famiglie di migranti, bambin* compres*.
Secondo la legge approvata l’estate scorsa dal governo israeliano (Prevention of Infiltration Law), lo stato sionista può imprigionare per oltre 3 anni chiunque sia entrato illegalmente dentro i confini.

Secondo le ultime dichiarazioni del governo israeliano ai media di regime, sembrerebbe che Israele si sia accordato con “uno Stato terzo” per deportare tutt* i/le richiedenti asilo, indipendentemente dai rischi e dalle minacce per la vita stessa delle persone.

Esprimiamo massima solidarietà a chi sta lottando per la libertà, a Saharonim così come nei campi d’internamento per migranti della Fortezza Europa. Continua a leggere

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[Egitto] Brevi considerazioni sul 30 giugno

Pubblichiamo queste impressioni che ci descrivono cosa c’è nell’aria rispetto la giornata di lotta del 30 giugno in Egitto. La volontà è quella di condividere brevi considerazioni su alcune domande che ci siamo fatt* in questi giorni.

revPerché proprio il 30 giugno? Perchè è un anno che i Fratelli Musulmani sono al potere con Morsi.

Quali sono i motivi per i quali la gente prenderà le strade? Moltissimi, l’aumento spropositato dei prezzi dai bene primari, al caro vita in generale. Al continuo taglio dell’elettricità e dell’acqua in tutto l’Egitto, in alcuni quartieri al Cairo il taglio dell’elettricità si manifesta 4 o 5 volte al giorno con la durata di 1 o più ore ogni volta.
Una delle ultime mosse di Morsi è stata quella di “fratellizzare” le province, ad ogni provincia uno dei fratelli a monitorare e comandare.

Un punto fondamentale è capire chi parteciperà nelle manifestazioni del 30?
– I sostenitori del vecchio regime, che ovviamente si sentono fuori dalla partizione della torta, con la loro ambizione di arrivare al potere e sostenuti dall’esercito e dalla polizia. Come se da due anni e mezzo fossero caduti nell’oblio e tutto d’un tratto l’esercito diventa protettore del popolo egiziano insieme alla polizia. Ovviamente nessuno slogan contro il ministero dell’interno e nessuno slogan contro lo Scaf.
Come è certo non saranno loro stessi a scendere per le strade per cacciare il potere dei FM, ma c’è chi si sporcherà le mani mentre loro se ne stanno in disparte a guardare gli eventi magari dalla poltrona di casa.
Nessun problema quindi a far cadere Morsi e a consegnare il trono all’esercito o chi ne farà le veci.
– La polizia ha annunciato che non scenderà ufficialmente, ma ufficiosamente (tra la gente) sicuramente ci sarà.
– Il Ministro della difesa ha annunciato che l’esercito si intrometterà se la situazione degenera.
– Al di là dei partiti, dei movimenti che sono divisi tra i sostenitori dell’esercito e della polizia, c’è chi sogna l’abbattimento del sistema da quando la rivoluzione è iniziata, e continua a credere e a volere la distruzione di ogni forma di potere perché non è la faccia di chi governa che va cambiata ma l’autorità stessa che andrebbe cancellata.
Egypt-Revolution-cropped– C’è il popolo che semplicemente non ne può più dei Fratelli Musulmani, delle loro menzogne, della loro oppressione.

Il 30 giugno è una giornata che sa di marcio, architettata da tempo e le pedine che si divertiranno a giocare lo fanno per vincere il trono, si prevede una feroce guerriglia dove, a partecipare, sono sempre coloro che credono e lottano e non hanno nulla da perdere.

Questo è lo scenario inquietante che si prevede per il 30, già da adesso si prevede anche la blindatura totale del palazzo presidenziale con mura di cemento, filo spinato e quant’altro, niente è certo nè prevedibile, i FM hanno indetto un presidio permanente da venerdi là intorno, staremo a vedere!

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World Refugee Day? Ogni giorno la Nakba: tra memoria e lotte

Intervista a B. J., compagno che vive nel campo profughi di Aida.

nakba1)    Perchè è ancora importante e centrale parlare della Nakba e di conseguenza del diritto al ritorno per sconfiggere il sionismo e la sua pretesa “maggioranza demografica”?
Bisogna continuare sempre a parlare della Nakba perchè la Nakba non è ancora finita. Non è finita perchè noi non siamo ancora ritornati nelle nostre terre che sono state occupate dagli israeliani. Dopo l’occupazione e l’uccisione di tanti/e palestinesi, noi dobbiamo continuare a parlare della Nakba di generazione in generazione perchè così noi possiamo combattere la politica di Israele che vuole ucciderci ed eliminarci così chi resta non sa e non ricorda. Parlare della Nakba è una forma di resistenza perchè gli israeliani vorrebbero cancellare la Palestina.

Al campo profughi di Aida, abbiamo scritto i nomi di tutti I villaggi palestinesi, quando sono stati occupati e distrutti perchè tutti devono sapere, anche I bambini, che dove gli israeliani vivono, quella terra è della Palestina. Loro vogliono cambiare la geografia della Palestina. Infatti hanno cambiato I nomi di città e di villaggi dopo che li hanno occupati. Gli israeliani stanno facendo lo stesso degli spagnoli nei paesi baschi: vogliono cancellare la terra nostra e la nostra gente e metterci la loro gente. Ma noi non lo permetteremo.

2)    Qual è la situazione nei campi profughi, che ruolo svolgono l’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazionedei profughi palestinesi) e le numerosissime Ong per “normalizzare” la condizione dei rifugiati attraverso l’assistenzialismo totale? Com’è la situazione invece nei paesi arabi limitrofi (Siria, Libano, Giordania..) si riesce a mantenere una forte attività politica?

Prima cosa che voglio dire è che senza i campi profughi, in Palestina non c’e’ la vera politica. La politica fatta di azioni e di resistenza, non di parole.
Secondo me, l’UNRWA e le ONG vorrebbero cambiare la mente della gente che vive nei campi. Fanno questo attraverso i programmi e i progetti che fanno allontanare i giovani dalla politica. Nessun programma o progetto affronta la questione politica. Qui in Palestina, non si tratta di distribuire cibo, fare scuole o ospedali. Qua il problema è politico. Le organizzazioni non prendono posizioni dirette contro Israele. Molte organizzazioni internazionali dicono che chi è contro Israele e che chi resiste, è un terrorista. Ma lo fanno per avere i soldi per i loro progetti. I soldi glieli danno i paesi occidentali. Israele è anche l’Occidente qua e tutti i paesi che appoggiano Israele e non prendono posizioni politiche chiare a fianco della popolazione palestinese. Le Ong non lavorano nei campi profughi. Nel campo di Aida, dove vivo io, non ci sono Ong. Il fatto che loro non lavorano nei campi profughi, vuol dire che loro fanno quello che Israele vuole cioè fare diventare legale la condizione di profugo, che e’ illegale.
UNRWA, invece, ad Aida ha solo una scuola e lavora per la pulizia delle strade. Alcune volte mandano cibo ma solo per alcune famiglie non per tutti.
I campi profughi dentro la Palestina stanno meglio rispetto ai campi fuori perchè la gente che vive nel campo dentro la Palestina, si sente vicino alla sua terra. Possono meglio sistemare le loro case, costruire e vivere meglio. I campi palestinesi nei paesi quali Siria, Libano e Giordania, non vivono bene. Per esempio in Giordania stanno un po’ meglio perchè i/le palestinesi possono comprare la terra e riescono anche a trovare lavoro. Nei paesi quali Siria e Libano questo non è possibile e si sentono emarginati.

Bethlehem-nakba-1948-shirt3)    Come si arriva ad una certa formazione politica attraverso l’utilizzo della memoria storica delle lotte, dei protagonisti e delle vicende palestinesi? Il carcere svolge ancora questo ruolo di formazione? Le scuole riescono a formare giovani palestinesi in tal senso? altrimenti come intercettate e diffondete le vostre prospettive politiche nella società palestinese? (es. attraverso l’attività sindacale nei posti di lavoro, attivisti all’università, comitati nei villaggi e nei campi profughi.. come si articola questa possibile rete?)

Per rispondere a questa domanda io parlo anche del Fronte Popolare. Per il Fronte Popolare, la politica non si studia a scuola o all’università, ma si impara facendo attività politica tutti i giorni per strada con i/le compagn*.
La nostra memoria storica e la nostra coscienza politica viene dalla storia della Palestina e dalla letteratura, ma la politica la facciamo tutti/tutte insieme parlando e confrontandoci. Per esempio noi facciamo politica anche quando organizziamo i campi estivi per bambin*. Vengono divisi in gruppi e ogni gruppo porta il nome delle città o dei villaggi che sono stati occupati dagli israeliani. Noi raccontiamo la storia dei villaggi e delle città ai bambini e loro devono sapere tutto quello che è successo sulla loro terra in passato.
La politica noi la facciamo organizzandoci in gruppi e lavorando nei campi profughi, nelle scuole, nelle università, nei posti di lavoro. Si va, si parla, si racconta, si organizzano manifestazioni e azioni da fare. Noi del Fronte facciamo una specie di attività politica che coinvolge tutti/e e parte dal basso, dalla gente. Le carceri, poi, sono molto importanti perchè chi sta in caercere, è stato arrestato perche’ faceva politica. Quando gli israeliani arrestano i giovani e li mettono in carcere, i giovani imparano perchè i più anziani, i prigionieri politici, raccontano loro e insegnano loro.
Non è la scuola che ci insegna la politica, ma la vita. La scuola ci insegna la storia, ma la politica la facciamo noi per strada. I gruppi sono lo strumento con cui noi ci leghiamo alla società palestinese .

4)    Come possiamo noi oggi, dall’Europa supportare la vostra lotta in chiave realmente internazionalista e non semplicemente umanitaria? Quali sono le campagne principali i nodi fondamentali da attaccare? Continua a leggere

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17, 18, 19 giugno @ La Sapienza – 2 giorni di iniziative e presidio FUORI LA GUERRA DALL’UNIVERSITA’

Il programma completo di 3 giornate di lotta. Il 19 giugno, alle 8, presidio a La Sapienza.
Trovate l’appello a questo link
manifesto-def

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Fuori la guerra dall’università! 19 giugno 2013 – STOP INFOWAR

Il documento che pubblichiamo spiega quali rapporti si consolidano costantemente fra l’accademia e l’industria di guerra.
Il 19 giugno vorrebbero celebrare i loro progetti mortiferi all’interno dell’università La Sapienza, parteciperemo perciò alle giornate informative e agli appuntamenti di chi rifiuta di collaborare e di rimanere in silenzio.
Diffondete l’appello dei ricercatori e delle ricercatrici contro la partecipazione dell’università alle ricerche di cyber-guerra: Fuori Mazinga dall’università.
Contribuiamo ad amplificare l’attenzione pubblicando banner e grafiche sui nostri siti web.
bannertutti
STOP INFOWAR: fuori la guerra dall’università!
da officinafisica.noblogs.org

Il 19 Giugno 2013 si terrà nell’aula magna de “La Sapienza” la quarta conferenza sulla cyber warfare, la seconda ospitata dall’università. La conferenza è organizzata da centri di ricerca del “La sapienza” e dell’università di Firenze, unitamente a partner privati tra cui, Vitrociset (Finmeccanica) e Maglan (ideatrice e finanziatrice). Tra i vari e numerosi relatori interverranno ad esempio il Colonello Giandomenico Taricco (II Reparto [Informazioni e Sicurezza] dello Stato Maggiore Difesa), specialisti del ministero dell’interno, esponenti del ministero della difesa, insomma il fior fiore dell’industria bellica, della difesa e dell’esercito italiani.

infowarBenché il titolo della conferenza “Protezione Cibernetica delle Infrastrutture Nazionali” non sembri nulla di pericoloso l’intero ciclo di queste conferenze mira a rafforzare e propagandare il sodalizio tra l’università pubblica e applicazioni belliche. Il tema trattato, l’information warfare, è infatti l’ultima frontiera della guerra tecnologica, ovvero delle applicazioni informatiche e tecniche utilizzate nel conflitto globale, sia che esso riguardi un nemico esterno, come una nazione estera, o interno, come l’opinione pubblica o eventuali dissidenze.

La guerra dell’informazione è articolata in vari punti applicativi: raccolta di informazioni tattiche, propaganda e disinformazione (allo scopo di manipolare sia il nemico sia il pubblico), guerra psicologica, economica e il cyberwarfare.

Proprio queste tematiche sono state al centro degli incontri precedenti, tra cui quello in aula magna”La Sapienza” dello scorso 8 Novembre: nel convegno a porte chiuse sono stati presentati i più avanzati strumenti tecnologici in materia di distruzione delle infrastrutture critiche di un paese (sistemi di distribuzione idrica ed energetica, telecomunicazioni, ecc.) attraverso attacchi cibernetici.
Lo scenario descritto è molto simile a quello che abbiamo davanti ai nostri occhi nell’attuale scenario di guerra in Siria e nel precedente conflitto in Libia.
Attraverso il sito del convegno (www.infowar.it) i partecipanti ci comunicano che un cyber-attacco massicciamente destabilizzante (una sorta di “11 settembre 2001 cibernetico”), portato avanti anche tramite azioni più subdole di manipolazione ed “eterodirezione” della sua opinione pubblica e leadership politica, produce una situazione di diffusa e intensa incertezza che indebolisce le capacità dello Stato aggredito di contrastare l’escalation di una eventuale crisi.

L’incontro è finalizzato a rafforzare la “sinergia” tra ricerca tecnologica pubblica e privata. L’accordo, già firmato dal “Magnifico rettore Frati”, punta non solo a garantire una costante entrata di fondi privati nell’ambito della ricerca, direzionandola secondo le esigenze di mercato ed in particolare verso quelle militari, ma, soprattutto, a garantire una formazione adeguata ai nuovi lavoratori della guerra.

wewantuA tal scopo è stato fondato a “La Sapienza” un apposito centro di ricerca, il CIIS (Cyber Intelligence and Information Security), collaborazione tra vari dipartimenti e facoltà, in particolare ingegneria e informatica. Un centro di ricerca, come dichiara in un’intervista uno dei dirigenti Finmeccanica, “finalizzato a produrre tecnici in costruzione di armi cibernetiche”.

Questo è il regalo lasciatoci da una serie di riforme universitarie che hanno determinato l’ingente entrata dei privati sia come finanziatori, sia come partner operativi di ricerca.

Nel caso specifico le aziende che partecipano a quest’”avventura scientifica” sono Finmeccanica, il primo produttore di armi in Italia e la Maglan, società israeliana di difesa ed informazione, leader nel settore della cyber-guerra: controllo dei droni, coordinamento di operazioni offensive, raccolta di informazioni tattiche ecc. Continua a leggere

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[Comunicato] La resistenza dei compagni e delle compagne del Fronte Popolare di Aida Camp

Riceviamo e pubblichiamo.

La resistenza dei compagni del Fronte Popolare di Aida  Nel corso degli ultimi due mesi un massiccio giro di vite ha colpito i giovani del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina del campo profughi di Aida. Sono stati arrestati 13 ragazzi per mano della polizia palestinese e 3 dalla polizia israeliana.  Noi, palestinesi prima di tutto e in quanto parte del Fronte Popolare, rispondiamo a questa ondata di repressione urlando che la nostra resistenza andrà sempre avanti e non avrà fine. Gli arresti non ci fermeranno. Gli arresti non ostacoleranno mai la nostra forza e la nostra ferma volontà di combattere l’occupazione militare sionista e il collaborazionismo politico e repressivo  dell’Autorità palestinese con l’esercito occupante israeliano.

Quanti più compagni arrestati tanti più compagni fuori che continuano la lotta. Quanti più arresti tanti più sono i giovani che scelgono di stare al fianco dei compagni del Fronte. Sempre più giovani abbandonano vecchie posizioni politiche per scendere al fianco del Fronte popolare, stanchi della corruzione e della repressione politica e militare. Quanti più arresti tanta più partecipazione della gente alla liberazione della Palestina, la nostra terra.  Noi siamo fedeli alla libertà e alla resistenza. Noi del Fronte non scenderemo a patti con l’Autorità palestinese e non entreremo a far parte di nessun governo fino a quando non ci sarà il riconoscimento e la rappresentanza politica di tutti i gruppi e i movimenti attivi in Palestina nella lotta di liberazione della nostra terra dall’occupazione militare israeliana.

Noi non vogliamo una Palestina divisa né territorialmente né politicamente. Noi vogliamo una Palestina unita contro l’occupazione. Noi, palestinesi siamo un unico popolo e insieme dobbiamo liberare la nostra terra sotto una sola bandiere: la resistenza.  Noi, giovani del campo profughi di Aida siamo quotidianamente impegnati a portare avanti le nostre azioni di resistenza e a esercitare il nostro sacrosanto diritto all’esistenza sulla terra di Palestina tutti i giorni. La nostra lotta è fatta di azioni concrete a fianco di tutti coloro che si trovano in difficoltà a causa della politica economica dell’Autorità palestinese che sta strangolando la popolazione. La gente ha bisogno di speranza e sapere che non è sola nelle sue lotte quotidiana. Noi siamo al fianco di tutti i popoli che lottano per la libertà e ci opponiamo fermamente ai colonialismi occidentali e arabi sulla nostra terra, mandanti e complici dell’occupazione e del progetto sionista di sottrarre illegalmente al popolo palestinese la propria terra.

Il Fronte è con il popolo e sempre lo sarà perché senza l’appoggio del popolo il Fronte non ha forza.

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Collaborazione militare fra Messico e Israele

Scritto da  Jimmy Johnson e Linda Quiquivix
Traduzione a cura di Nomads

Mujeres empujando a soldadoAll’inizio del mese di maggio 2013, Jorge Luis Llaven Abarca, il nuovo ministro della sicurezza pubblica dello stato messicano del Chiapas, ha annunciato che esiste un’avvicinamento tra il suo ministero e quello della difesa israelita.

Entrambi i paesi hanno fatto dichiarazioni su un coordinamento di sicurezza in ambito poliziesco, rispetto le carceri e l’uso della tecnologia (“Militares de Israel entrenarán policía chiapaneca”, Excelsior, 8 maggio 2013).

Il Chiapas è la terra dei e delle zapatiste (EZLN), un movimento di liberazione nazionale a maggioranza indigena maya, che ha ricevuto un appoggio globale da quando si rivoltò contro il Governo messicano nel 1994. Gli zapatisti hanno recuperato terre dove hanno potuto costruire cooperative, scuole autonome, cliniche collettive e altri tipi di strutture comunitarie e democratiche. Continua a leggere

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