Israele e Palestina – intervista a più voci

Ripeschiamo un articolo interessante sulla crisi fra israele e libano di questa estate, con fra gli altri intervistati Noam Chomsky

15 Luglio 2006
Democracy Now

Israele e Palestina
Intervista a più voci sulla crisi tra Israele e Libano.

Noam Chomsky

 

 

 

Dal mio punto di vista l'evento che ha scatenato tutto ciò, gli eventi, sono quelli che ho detto – la costante e intensa repressione, i molti sequestri, le numerose atrocità a Gaza, l'occupazione in pianta stabile della West Bank, che, di fatto, sarebbe semplicemente l'assassinio di una nazione, qualora continuasse, la fine della Palestina; il rapimento dei due civili palestinesi a Gaza il 24 giugno, e la reazione alla cattura del caporale Shalit. E c'è differenza, per inciso, tra rapimento di civili e cattura di soldati, anche il diritto internazionale la riconosce.


Amy Goodman: Ci ha appena raggiunti al telefono Noam Chomsky, professore di linguistica e filosofia al MIT e autore di decine di libri. Il suo ultimo è Failed States: The Abuse of Power and the Assault on Democracy. A maggio è stato a Beirut, dove incontrò, tra gli altri, il leader Hezbollah Sayyed Hassan Nasrallah. Ci sta chiamando dal Massachusetts: benvenuto a Democracy Now!

Noam Chomsky: Ciao, Amy.

Amy Goodman: Ci fa molto piacere averti con noi. Bene, puoi dirci cosa sta succedendo in Libano e a Gaza?

Be', chiaramente non ho alcuna informazione privilegiata, oltre a quella disponibile a te e agli ascoltatori. Ciò che sta succedendo a Gaza, per cominciare – be', essenzialmente la fase attuale del processo in corso – ma c'è molto altro — comincia con l'elezione di Hamas, alla fine di gennaio. Israele e gli Stati Uniti annunciarono subito che avrebbero punito il popolo palestinese per aver votato nel modo sbagliato in libere elezioni, e la punizione è stata dura.

Essa avviene simultaneamente a Gaza e, in un certo senso in maniera non evidente, ma finanche più estrema, nella West Bank, dove Olmert ha annunciato il suo programma di annessione, che è chiamato eufemisticamente "convergenza" e viene descritto qui da noi con il termine "ritiro", mentre di fatto è la formalizzazione di un programma per l'annessione delle terre di valore, di gran parte delle risorse, tra cui l'acqua, della West Bank e per la cantonizzazione e l'accerchiamento del resto, segnati dalla dichiarazione da parte di Israele di voler occupare la Valle del Giordano. Bene, ciò sta accadendo senza molta violenza e senza che se ne parli molto.

L'ultima fase, quella di Gaza, è cominciata il 24 giugno, quando Israele rapì due civili palestinesi, un medico e suo fratello. Non ne sono noti i nomi, non si conoscono i nomi delle vittime. Furono portati in Israele, presumibilmente, e nessuno ne conosce il destino. Il giorno successivo successe qualcosa, di cui si sa, e molto. Dei militanti, probabilmente della Jihad islamica, rapirono un soldato israeliano al di là del confine, il caporale Gilad Shalit. Questo rapimento è ben noto, il primo no. Poi seguì l'escalation di attacchi israeliani contro Gaza, che non c'è bisogno di richiamare qui perché sono stati riportati dai media in maniera adeguata.

La fase successiva è stata aperta dal rapimento di due soldati israeliani, dicono al confine. L'obiettivo ufficiale è la scarcerazione di prigionieri, che sappiamo esistere anche se nessuno sa quanti. Ufficialmente vi sono tre libanesi prigionieri in Israele, ma si sospetta di un paio di centinaia di persone scomparse e che nessuno sa dove siano.

Però la ragione principale, credo comunemente accettata dagli analisti, è che – leggo dal Financial Times, che ho giusto di fronte a me: "La scelta dei tempi e la scala dell'attacco suggeriscono che siano stato in parte inteso a ridurre la pressione sui Palestinesi costringendo Israele a combattere su due fronti simultaneamente". David Hirst, che conosce bene questa regione, ne parla così, credo stamattina, come una manifestazione di solidarietà con una popolazione che subisce una violenza.

È un atto del tutto irresponsabile, che mette i Libanesi in pericolo… certamente a rischio di atti di estrema violenza e ad un potenziale estremo disastro. Che possa ottenere un risultato, tanto rispetto alla questione secondaria della liberazione dei prigionieri o a quella primaria della solidarietà verso la popolazione di Gaza, lo spero, ma non giudicherei molto alta la probabilità.

Juan Gonzalez: Noam Chomsky, sulla stampa commerciale statunitense è stata data grande attenzione ad Iran e Siria, come paesi che stanno architettando parte di ciò che sta accadendo attualmente con lo scoppio degli scontri in Libano. Che pensi di queste analisi che sembrano sminuire il peso del movimento di resistenza e di ricondurre quest'ultimo ancora una volta all'Iran?

Beh, il fatto è che non abbiamo alcuna informazione al riguardo e dubito che le abbiano le persone che hanno scritto al riguardo e, francamente, non credo che i servizi segreti Usa abbiano informazioni. Ma è senz'altro plausibile… voglio dire, non c'è dubbio che esistano connessioni, probabilmente strette, tra gli Hezbollah, la Siria e l'Iran, ma se esse abbiano avuto un ruolo nel motivare queste recenti azioni, non credo che ne abbiamo la più pallida idea. Si può tirare ad indovinare su qualsiasi cosa, è una possibilità, anzi un fatto di probabilità. Ma da un altro punto di vista, abbiamo tutte le ragioni per credere che gli Hezbollah abbiano le proprie motivazioni, forse proprio quelle che Hirst ed il Financial Times ed altri stanno indicando… anch'esse sono plausibili, e in realtà molto più plausibili.

Amy Goodman: C'è stato anche un rapporto ieri che suggeriva che gli Hezbollah potessero inviare i soldati israeliani prigionieri in Iran.

Juan Gonzalez: Beh, Israele in realtà sostiene di avere le prove che ciò accadrà. È per questo che sta cercando di bloccare il mare e bombardare gli aeroporti.

Lo affermano, è vero, ma, ripeto, non abbiamo alcuna prova. Delle affermazioni da parte di uno stato che sta conducendo un attacco militare non contano davvero molto, dal punto di vista della credibilità. Se ne hanno le prove, sarebbe interessante poterle esaminare. In realtà potrebbe accadere, ma anche se accadesse ciò non dimostrerebbe molto. Se gli Hezbollah decidessero che non possono tenere i prigionieri, i soldati, in Libano a causa della scala degli attacchi israeliani, potrebbero decidere di mandarli altrove. Sono scettico riguardo alla possibilità che Siria o Iran possano accettarli a questo punto, o che possano anche solo trasferirveli, anche se volessero.

Amy Goodman: Volevo chiederti cosa pensi del commento dell'ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Dan Gillerman, che ha difeso le azioni di Israele come risposta giustificata.

Dan Gillerman: Mentre ci troviamo qui in questi giorni difficili, vi chiedo di porvi questa domanda: che cosa fareste se i vostri paesi si trovassero esposti a tali attacchi, se i vostri vicini si infiltrassero attraverso i vostri confini per rapire vostri connazionali e se centinaia di missili fossero lanciati contro le vostre città e insediamenti? Ve ne stareste tranquilli o fareste esattamente quello che Israele sta facendo proprio ora?

Amy Goodman: Era Dan Gillerman, ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite. Noam Chomsky, la tua risposta?

Faceva riferimento al Libano, invece che a Gaza…

Amy Goodman: Esatto…

Sì. Beh, è vero che sono stati lanciati centinaia di missili, e ciò ovviamente deve essere fermato. Ma non ha detto, almeno non in questo commento, che i missili sono stati lanciati dopo i pesanti attacchi israeliani contro il Libano, che hanno ucciso secondo gli ultimi rapporti circa una sessantina di persone e distrutto molte infrastrutture. Come sempre, le cose hanno dei detonatori e occorre decidere quale sia stato l'evento scatenante. Dal mio punto di vista l'evento che ha scatenato tutto ciò, gli eventi, sono quelli che ho detto – la costante e intensa repressione, i molti sequestri, le numerose atrocità a Gaza, l'occupazione in pianta stabile della West Bank, che, di fatto, sarebbe semplicemente l'assassinio di una nazione, qualora continuasse, la fine della Palestina; il rapimento dei due civili palestinesi a Gaza il 24 giugno, e la reazione alla cattura del caporale Shalit. E c'è differenza, per inciso, tra rapimento di civili e cattura di soldati, anche il diritto internazionale la riconosce.

Amy Goodman: Puoi spiegarci in cosa consiste?

Se c'è un conflitto in corso, al di là della guerra vera e propria, in caso di cattura di soldati, questi devono essere trattati umanamente, ma non si tratta di un crimine equiparabile con il rapimento di civili e il loro trasferimento oltre confine. Questo è un crimine grave ed è questo di cui non si dice nulla nella stampa. E, di fatto, si ricordi che — voglio dire, non è necessario ricordare ogni volta che ci sono attacchi continui contro Gaza, che è in pratica una prigione, una immensa prigione, sotto attacco continuo: strangolamento economico, attacco militare, assassinii, e così via. In confronto con ciò, la cattura di un soldato, comunque la si consideri, non figura molto in alto nella scala delle atrocità.

Juan Gonzales: Ci ha raggiunti a telefono Mouin Rabbani, un esperto analista del Medio Oriente, che fa parte dell'International Crisis Group ed è redattore del Middle East Report. Ci chiama da Gerusalemme. Benvenuto a Democracy Now!

Mouin Rabbani: Salve!

Juan Gonzalez: Potresti dirci qual è la tua opinione su questa recrudescenza del conflitto e sulla possibilità che Israele possa impantanarsi in un'altra guerra in Libano?

Mouin Rabbani: Be', è difficile da dire… Non sono riuscito a sentire i commenti del professor Chomsky, capivo solo una parola ogni sei, ma credo che Israele stia essenzialmente cercando di riscrivere le regole del gioco e di stabilire nuove condizioni per i suoi avversari, come a dire che nessun attacco di nessun tipo contro le forze israeliane sarà ammesso, e che qualunque attacco del genere scatenerà una reazione contro l'intera infrastruttura civile o l'intero paese o territorio da cui l'attacco partiva. E credo che la possibilità che questo conflitto possa estendersi ulteriormente, fino a diventare un conflitto regionale, magari coinvolgendo la Siria, sia a questo punto piuttosto reale.

Amy Goodman: Puoi dirci qualcosa della risoluzione Onu, un voto su una bozza di risoluzione finito 10 a 1, con il veto Usa e l'astensione di quattro paesi, la Gran Bretagna, la Danimarca, il Perù e la Slovacchia?

Mouin Rabbani: Be', credo che sarebbe stata una cosa nuova se questa risoluzione fosse stata approvata. Credo che nell'ultimo decennio, se non da più tempo ancora, è diventata una realtà l'incapacità delle Nazioni Unite di fare qualcosa per il mantenimento o il ripristino della pace e della sicurezza in Medio Oriente, principalmente a causa del potere di veto degli Usa all'interno del Consiglio di sicurezza. E credo che abbiamo ormai raggiunto il punto in cui anche una condanna retorica delle azioni di Israele, come quelle che abbiamo visto a Gaza nelle passate settimane, anche una condanna retorica senza conseguenze politiche è del tutto impensabile, ancora una volta a causa del potere di veto degli Usa al Consiglio di sicurezza.

Amy Goodman: Mouin, cosa credi che succederà ora, a Gaza e in Libano?

Mouin Rabbani: Be', temo che le cose peggioreranno significativamente. Voglio dire, in Libano sembra che gli Hezbollah abbiano l'obiettivo più ristretto di costringere Israele a trattare lo scambio di prigionieri, mentre Israele ha un piano più ampio che mira al disarmo degli Hezbollah o almeno a spingerli indietro di alcune decine di chilometri dal confine israelo-libanese. È chiaro che le posizioni di israeliani ed hezbollah su questo punto sono del tutto incompatibili, e ciò significa che questo conflitto probabilmente continuerà a crescere, fino a quando non comincerà un qualche tipo di mediazione.

A Gaza la situazione è un po' diversa. Credo che Hamas abbia un disegno più ampio, di cui lo scambio di prigionieri con Israele è solo una parte, direi anche secondaria. Credo che l'obiettivo primario di Hamas sia costringere Israele ad accettare la cessazione bilaterale delle ostilità, e credo, cosa ancora più importante, di garantirsi il diritto a governare. E credo che altro obiettivo importante di Hamas sia stato mandare un messaggio molto chiaro, non solo ad Israele ma a tutti gli avversari, israeliani, palestinesi o stranieri, per ricordare al mondo che l'integrazione politica e la democrazia sono un esperimento, ma hanno alternative e se non sarà permesso loro di condurre il loro mandato democratico, non esiteranno, se sarà necessario, a mettere in pratica quelle alternative.

Amy Goodman: Per concludere, Noam Chomsky, in questo stesso momento i leader del mondo industrializzato si stanno incontrando a San Pietroburgo per il G8. Che ruolo hanno gli Usa?

Nel meeting dei G8?

Amy Goodman: No… Si sono appena riuniti – senz'altro la questione del Libano, di Gaza, del Medio Oriente dominerà la discussione. Ma quale sarà il ruolo degli Usa?

Credo che sarà molto simile a quello giocato nella risoluzione Onu che hai citato, cioè – sono spiacente, ma non sono riuscito a sentire cosa ha detto Mouin Rabbani – il veto delle risoluzioni Onu è una cosa normale. Da decenni. Gli Usa hanno bloccato praticamente da soli le possibilità di risoluzione per via diplomatica, la censura dei crimini israeliani e le atrocità. Quando Israele invase il Libano nel 1982, gli Usa misero il veto a diverse risoluzioni che chiedevano la sospensione dei combattimenti e così via, e quella fu una invasione orribile. La stessa cosa ha continuato a succedere con ogni amministrazione, perciò credo che continuerà nel meeting dei G8.

Gli Stati Uniti considerano Israele un proprio avamposto militare e lo proteggono da ogni critica o azione e sostengono passivamente e apertamente la sua espansione, gli attacchi ai Palestinesi, l'occupazione progressiva di ciò che resta dei territori palestinesi e tutti i suoi atti per, diciamo, dare realizzazione ad un commento che Moshe Dayan fece negli anni 70 quando era responsabile per i territori occupati. Disse ai suoi colleghi che occorreva dire ai Palestinesi che Israele non aveva alcuna soluzione per loro, che dovevano vivere come cani e che chi fosse andato via avrebbe perso tutto e che si sarebbe visto dove ciò avrebbe portato. Questa è essenzialmente la politica e presumo che gli Usa continueranno a portarla avanti in un modo o un altro.

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