Durante il corteo per l’acqua pubblica e che rimanga un bene comune, diversi striscioni sono apparsi per ricordare che uno dei motivi dell’occupazione delle terre di Palestina da parte dell’esercito israeliano è proprio quella di accaparrarsi tutta l’acqua. E’ proprio di oggi la denuncia di grandi organizzazioni umanitarie ma anche di
molti altri operatori del settore radicati soprattutto in quelle zone: immaginate ville
aggrappate a una dolce collina, immerse in verdi giardini curati con
moderni sistemi di irrigazione, dotate di piscine e collegate tra loro
da una rete stradale ricca di fontanelle; poi, abbassate lo sguardo,
troverete un villaggio palestinese con serbatoi in plastica di
colore nero sui tetti in cui viene immagazzinata l’acqua che di tanto in
tanto arriva da Israele. Il paradosso è che i palestinesi sono costretti a comprare dagli
israeliani la loro stessa acqua: non hanno infatti diritto al bacino
della valle del Giordano, non possono scavare pozzi, a volte gli stessi
serbatoi sui tetti delle loro case vengono presi di mira per gioco dai
coloni con colpi d’arma da fuoco. Un palestinese
dispone in media di 70 litri d’acqua al giorno, un israeliano ne ha
circa 300 grazie alle forniture che arrivano proprio dalla Cisgiordania.
In alcune aree rurali i palestinesi sopravvivono con solamente 20 litri
al giorno, la quantità minima raccomandata per uso domestico in
situazioni di emergenza. Da 180.000 a 200.000 palestinesi che vivono in
comunità rurali non hanno accesso all’acqua corrente e l’esercito
israeliano spesso impedisce loro anche di raccogliere quella piovana. I
450.000 coloni israeliani, che vivono in Cisgiordania in violazione del
diritto internazionale, utilizzano la stessa, se non una maggiore
quantità d’acqua, rispetto a 2.300.000 palestinesi.
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Leggi lo studio condotto dal Palestine Hidrology Group (PHG)