Lettera aperta alle comunità LGBTIQ sull’occupazione israeliana in Palestina

Tradotto da QueerSolidarityWithPalestine

Siamo un gruppo eterogeneo di lesbiche, gay, bisessuali, queer e trans attivisti, accademici, artisti e operatori culturali provenienti dagli Stati Uniti che hanno partecipato ad un tour di solidarietà in West Bank e Israele dal 7 al 13 gennaio 2012.

Ciò di cui siamo stati testimoni è stato devastante e sentiamo l’urgenza di fare la nostra parte nel porre fine a questa occupazione e condividere la nostra esperienza con la comunità LGBTIQ. Abbiamo visto con i nostri occhi il muro- letteralmente e metaforicamente- paesi, famiglie e terre separate. Da questo, abbiamo acquisito una profonda comprensione di quanto profondamente radicata e di ampia portata sia questa occupazione in ogni aspetto della vita quotidiana palestinese.

Così pure, abbiamo acquisito nuove prospettive sul modo in cui la società civile israeliana è fortemente influenzata dagli effetti disumanizzanti della politica dello Stato di Israele verso i palestinesi in Israele e in Cisgiordania. Ci siamo commossi dalla lotta portata avanti da alcuni israeliani nella resistenza alle politiche statali che disumanizzano e negano i diritti umani dei palestinesi.

Abbiamo concluso il nostro viaggio in solidarietà con palestinesi e israeliani che combattono per la fine dell’occupazione in Palestina, e che lavorano per l’indipendenza palestinese e l’auto-sovranità. Tra le cose che abbiamo visto ci sono stati:

  • Il muro di separazione di 760 km che separa e imprigiona la popolazione palestinese;
  • come il posizionamento del muro sia utile per la confisca di larga parte della terra palestinese, separa paesi e famiglie in 2, impedisce ai palestinesi di lavorare le loro terre agricole, e in molti casi non è un vantaggio per la sicurezza di Israele;
  • un sistema viario finalizzato alla segregazione (una serie di strade a disposizione delle automobili israeliane e altre, in numero inferiore, per le automobili palestinesi) in tutta la West Bank, costruito dallo stato israeliano e implementato dall’esercito; queste strade sono utili per i viaggi da e per gli insediamenti illegali in West Bank e impediscono gravemente gli spostamenti tra paesi Palestinesi, i terreni coltivati e in tutto il territorio che è ed è stato la loro patria;
  • un sistema di permessi (carte d’identità) che limitano gli spostamenti della popolazione palestinese e li imprigionano, li separano dalle loro famiglie, dalle cure mediche, dal lavoro e da altre necessità;
  • viaggiare da un luogo all’altro implica posti di blocco militarizzati con filo spinato e soldati armati con fucili automatici, umiliazioni e vessazioni nell’esperienza quotidiana dei palestinesi;
  • la riconfigurazione delle mappe che rende invisibili villaggi palestinesi;
  • condizioni di vita difficili create e imposte dalla legge israeliana e politiche che limitano l’accesso all’acqua e all’elettricità in molte abitazioni palestinesi;
  • violenze perpetrate dai coloni israeliani contro i palestinesi, e la continua crescita di insediamenti illegali facilitati dai militari israeliani;
  • senzatetto come risultato della demolizione delle case palestinesi da parte dello stato israeliano;
  • invasione di case, attacchi con gas lacrimogeni, attacchi con getti d’acqua maleodorante (skunk-water), arresti di bambini palestinesi da parte dell’esercito israeliano sono parte del piano disegnato per forzare gli abitanti palestinesi ad abbandonare le loro terre;

Sebbene le restrizioni di viaggio ci abbiano impedito di essere testimoni diretti dello stato di cose nella Striscia di Gaza, riteniamo che il blocco della Striscia abbia prodotto una crisi umanitaria di proporzioni monumentali.

Il nostro tempo insieme in Palestina ci ha fatto capire che abbiamo la responsabilità di condividere con la nostra base statunitense LGBTIQ ciò che abbiamo visto e sentito in modo da poter fare di più insieme per porre fine all’occupazione. Con questo spirito, forniamo i seguenti punti di riepilogo in solidarietà con la popolazione palestinese:

  1.  La liberazione della popolazione palestinese dal progetto di occupazione israeliano è l’obiettivo principale che dobbiamo supportare totalmente. Abbiamo anche compreso che la liberazione da questo tipo di colonizzazione e apartheid va di pari passo con la liberazione dei queer palestinesi dal progetto di eterosessualità globale.
  2.  Ci chiamiamo fuori e rigettiamo lo stato delle pratiche israeliane di pinkwashing, cioè una ben finanziata, cinica campagna pubblicitaria per promuovere un Israele gay-friendly all’attenzione internazionale in modo da distrarre l’attenzione dalle devastanti violazioni dei diritti umani che commette quotidianamente contro il popolo palestinese. Chiave della campagna pinkwashing israeliana è l’idea manipolata e falsa che la cultura israeliana sia gay-friendly e che la cultura palestinese sia omofobica. Riteniamo che entrambe queste posizioni siano imprecise – l’omofobia e la transfobia sono presenti sia nella società palestinese che in quella israeliana – e il punto è: l’occupazione illegale israeliana della Palestina non può essere giustificata o scusata da un presunto trattamento tollerante nei confronti di alcuni settori della propria popolazione. Solidarizziamo con organizzazioni queer palestinesi come Al Qaws e Queer palestinesi per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (PQBDS) il cui lavoro continua ad incidere su queer palestinesi e tutti i palestinesi.
  3. Invitiamo individui e comunità LGBTIQ a resistere al pinkwashing che insiste nel considerare la libertà sessuale della popolazione palestinese ad un piano superiore della libertà economica, ambientale, sociale e psicologica. Come già hanno considerato gli attivisti palestinesi incontrati, riteniamo l’eterosessualità e il sessismo progetti coloniali e quindi vediamo entrambi come programmi interconnessi che devono finire.
  4. Solidarizziamo con gli attivisti queer palestinesi che lavorano per porre fine all’occupazione, e anche con gli attivisti israeliani, queer e non, che resistono all’occupazione che viene mantenuta e ampliata nel loro nome.
  5. Riveliamo la complicità degli Stati Uniti in questa catastrofe umanitaria e chiediamo al nostro governo di porre fine ad un sistema ingiusto che pone se stesso e noi sul lato sbagliato di pace e giustizia.
  6. Sosteniamo gli sforzi da parte dei palestinesi per raggiungere la piena autodeterminazione, come ad esempio la costruzione di un movimento di boicottaggio internazionale, disinvestimento e sanzioni che chieda la realizzazione di tre fondamentali esigenze:
  • La fine dell’occupazione e lo smantellamento del muro
  • Il diritto al ritorno dei profughi palestinesi
  • Il riconoscimento e il ripristino di uguali diritti di cittadinanza per israeliani discendenti da palestinesi

Invitiamo tutti i nostri colleghi accademici e attivisti negli Stati Uniti e ovunque ad unirsi a noi per supportare tutti gli sforzi palestinesi nella realizzazione di queste richieste e a lavorare affinché venga sospeso il finanziamento economico statunitense di 8,2 milioni di dollari al giorno allo stato di Israele e all’occupazione.

Questa voce è stata pubblicata in Boicottaggio, Freepalestine, General, Homonationalism, Queer pinkwashing e contrassegnata con , , , , . Contrassegna il permalink.