Coltivare i campi è resistenza quotidiana.

07-11-2009

Il nostro viaggio oggi ci ha portato nel villaggio
di Batir,
poco distante dal campo di Dheisheh. Il villaggio,
completamente circondato dagli insediamenti, ha riacquisito le
proprie terre confiscate nel ’48, solo dopo la contrattazione con lo
stato occupante e cedendo unicamente sulla costruzione della ferrovia
israeliana.

Mescolati ad un folto gruppo di ragazzi/e del campo,
entusiasti di passare una giornata immersi nel verde distante dal
grigiore quotidiano, tra grida euforiche e un sali e scendi caotico
dal bus, siamo arrivati in poco tempo dalla famiglia che dovevamo
incontrare.

Il rituale del caffé non è mancato all’accoglienza
e raccolte le energie, tutti/e insieme, compresi i/le bambini/e, ci
siamo diretti/e all’uliveto.

Il lavoro si è svolto sotto un caldo sole invernale
che ha rallegrato tutti/e, in un contesto rurale caratterizzato dalla
presenza anche di palestinesi che non avevano mai visto quei campi e
in un clima di condivisione forte che lasciava intuire a tutti la
Palestina che potrebbe essere.

Scoccata l’ora del pranzo, seduti tra gli ulivi,
donne, uomini e bambini/e hanno consumato un pranzo scaldato sulle
pietre, un pranzo come momento raro di socialità tra persone che
l’oppressione dell’occupazione tende a dividere ed isolare. Terminato
il lavoro abbiamo deciso di passeggiare tra gli ulivi per conoscere
meglio il territorio; siamo così arrivati in una gola terrazzata e
coltivata grazie alla presenza di una sorgente ed un sistema di
canali risalenti al periodo dei romani.

Abbiamo poi risalito la pendenza dal lato opposto e
il paesaggio aperto e incontaminato strideva con quello
claustrofobico che abbiamo percepito nella vita quotidiana del campo
profughi.

Durante il nostro percorso abbiamo incontrato un
frantoio moderno e lo abbiamo visitato,dopo questa immersione totale
nella vita contadina palestinese siamo tornati tra gli stretti vicoli
di Dheisheh… impossibile sentirsi liberi senza la loro libertà.

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