NON RESTEREMO MAI IN SILENZIO

5 e 6 Novembre – Balata Camp

Partiamo per Nablus, dove la raccolta delle olive
non è ancora terminata nonostante la scarsa stagione. 

I chek point lungo la strada, che per anni sono
stati luoghi di continue uccisioni ed umiliazioni di uomini e donne che cercavano di spostarsi
all’interno della west bank, sono oggi parzialmente riaperti anche se
la presenza della polizia e dell’esercito israeliano è, comunque,
costante.

Questa parziale riapertura è l’amara constatazione
di una crescente "normalizzazione" dell’occupazione, anche
conseguenza di accordi internazionali che dovrebbero restituire
maggiore autonomia alla popolazione palestinese, ma che in realtà
vedono il consolidarsi degli insediamenti israeliani e il controllo da parte dello stato
sionista all’interno della west bank.

Durante il viaggio possiamo constatare la rapida
espansione delle colonie accompagnata dalla devastazione di terre un tempo ricoperte di ulivi.

Arriviamo al campo profughi di Balata e veniamo
accolti nel centro happychildhood camp, dove già ad Aprile la
carovana di sport sotto l’assedio era passata per conoscere la dura
realta di Balata.

http://www.sportsottoassedio.it/index.php?option=com_content&task=view&id=169&Itemid=87

 

La fretta che avevamo di recarci sui campi a
raccogliere le olive, svanisce nel momento in cui ci rendiamo conto
di quanto per i ragazzi, volontari del centro, sia importante sapere
di noi, raccontarci e farci vedere con i nostri occhi cosa vuol dire
crescere nel campo profughi più grande della west bank, dove più di
25.000 persone vivono in un Km².

Cominciamo a girare per le strade e i vicoli del
campo attraverso la guida di uno dei ragazzi del centro, che ci
racconta della dura realtà che la popolazione è costretta a vivere
e dei tanti tragici avvenimenti del recente passato. Non è facile
riassumere in poche righe i suoi racconti, né le emozioni e i
sentimenti che ci hanno suscitato.

Durante la seconda intifada, il campo di Balata era
considerato il più pericoloso dall’esercito israeliano. I soldati
mantengono tutt’oggi la loro posizione sulla montagna che sovrasta
l’agglomerato delle case. Da qua partivano le incursioni e le infami
e arbitrarie esecuzioni dei cecchini.

Tanti giovani hanno perso la vita in questo modo,
colpevoli di aver resistito lanciando sassi contro i mezzi militari,
di essersi affacciati alla finestra o di avere bevuto un the in
terrazza con gli amici.

I ragazzi ci hanno raccontato dei bombardamenti e di
come l’esercito si addentrasse nel campo sfondando le pareti delle
case, facendosi largo tra gli strettissimi vicoli che separano un
edificio dall’altro. La violenza della recente storia del campo è
testimoniata dai segni delle raffiche delle armi israeliane e da
numerossimi manifesti che ritraggono i ragazzi uccisi dai militari
israeliani.

Finita questa rapida ma intensa camminata siamo
tornati al centro. Insieme ai ragazzi abbiamo deciso di fare un
murales su uno dei muri del cortile interno della struttura. Abbiamo
poi passato una piacevolissima serata cenando insieme, ascoltando
musica e chiacchierando.

Il giorno seguente alcuni di noi si sono recati al
campo di un contadino dove, insieme a lui e alla sua famiglia, hanno partecipato alla raccolta delle
olive, mentre un’altra parte è rimasta a continuare il murales.

A fine serata ci siamo trovati un’altra volta tutti
insieme nel cortile del campo per un ultimo the e dopo esserci
scambiati propositi, numeri di telefono ed e-mail, ci siamo salutati.

Eravamo arrivati pieni di voglia di dare un aiuto
pratico, di fare qualcosa di utile per la gente di Nablus, ma questa
esperienza ci ha dimostrato che la necessità maggiore di chi, come
questo popolo, è rinchiuso in una prigione a cielo aperto, sia di
rompere l’isolamento in cui è costretto a vivere.

Volevamo dare…abbiamo ricevuto molto di più.

 

 

 

 

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