La polizia vieta ad attivisti israeliani manifestazioni in Cisgiordania

Tredici attivisti contro l’occupazione sono stati svegliati da agenti di polizia all’alba di domenica per ricevere ordini di “zona militare vietata”, che impediscono loro di entrare e parteciare alle in manifestazioni settimanali in West Bank.
Di Leehee Rothschild

Un attivista israeliana mostra un ordine di “zona militare vietata”, che, le è stato consegnato da poliziotti israeliani alle 6 di mattina nella sua casa di Tel Aviv, l’11 novembre 2012. (Foto: Activestills)

Ufficiali di polizia israeliani hanno distribuito ordini di “zona militare vietata” per quattro villaggi della West Bank domenica mattina presto a 13 attivisti di primo piano appartenenti a gruppi come “Anarchici Contro il Muro”, “Ta’ayush” e ”Sheikh Jarrah Solidarity Movement”. Nella maggior parte dei casi, gli ordini militari sono stati consegnati personalmente, ma per alcuni attivisti che non erano a casa, sono stati lasciati sotto le porte. In alcuni casi, gli ufficiali hanno cercato gli attivisti ai loro vecchi indirizzi, disturbando familiari e amici, entrando nelle abitazioni senza un ordine del tribunale, e riprendendo i presenti contro la loro volontà, anche dopo che è stato chiesto loro di non farlo.

Gli ordini, che sono cronometrati dalle 08:00 alle 19:00 ogni Venerdì, e sono validi a partire dall’inizio di settembre fino al 4 marzo, definiscono come zone militari vietate (tutto o in parte) i villaggi di Bil’in, Ni’ilin, Nabi Saleh, e Kufr Qaddum, e vietano qualsiasi ingresso in quelle aree. Si tratta di quattro diversi villaggi in cui i palestinesi svolgono manifestazioni settimanali contro il muro, regolarmente sostenute da attivisti israeliani e internazionali.

Le manifestazioni settimanali sono considerate illegali ai sensi della legge militare israeliana, proprio come qualsiasi forma di protesta o di manifestazione in Cisgiordania. In realtà, ogni Venerdì, gli ordini militari israeliani definiscono questi interi villaggi come zone militari vietate. Le dimostrazioni sono violentemente disperse da parte dell’esercito israeliano e la polizia con gas lacrimogeni, granate stordenti, proiettili di gomma e munizioni. La violenza militare ha portato ad oggi alla morte di 28 attivisti, e al ferimento di innumerevoli altri. Gli organizzatori palestinesi e i partecipanti a queste proteste affrontano continue persecuzioni, tra cui incursioni notturne nelle loro case, e lunghi periodi di prigionia, a volte sotto detenzione amministrativa.

Spesso i manifestanti israeliani vengono arrestati, ma le accuse non sono di solito contro di loro, e, quando lo sono, raramente portano a una condanna. Sembra che attraverso questa ultima operazione si cerchi di raggirare questa possibilità. In una dichiarazione pubblicata sul sito web INN, un poliziotto rappresentante del Distretto Shai (che supervisiona le attività nella West Bank) ha dichiarato: “… Gli ordini sono stati distribuiti a loro personalmente come parte di un’azione offensiva guidata da un comandante dell’area. E’ stata attuata, al fine di prevenire le attività illecite e per evitare che gli attivisti possano pretestuosamente dichiarare di non essere a conoscenza che quelle in cui si recano sono zone militari chiuse. Questa operazione fa parte della attività quotidiane del Distretto Shai contro coloro che turbano l’ordine pubblico con motivi nazionalisti di qualsiasi parte politica (sia di sinistra che di destra). ”

L’operazione di  polizia sembra essere un altro tentativo di recidere i legami tra palestinesi e israeliani che prendono parte ad atti di resistenza popolare sfidando le politiche istituzionali di separazione e segregazione. Tuttavia,  è improbabile questi ordini  scoraggino la maggior parte degli attivisti che si uniscono ai palestinesi in segno di protesta ogni settimana.

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