Contro la detenzione, per muoversi liberamente e vivere una vita degna.
Con queste motivazioni circa 340 persone internate nella prigione per migranti di Saharonim, nel confine israeliano con l’Egitto, hanno protestato nella giornata del 3 maggio.
La determinazione ha portato al rifiuto di rientrare nelle celle, scegliendo invece di affollare il cortile del complesso carcerario per 3 giorni consecutivi.
Lo status giuridico con le quali queste persone vengono imprigionate, senza limiti di tempo, è quello della richiesta d’asilo politico. Si tratta quindi di persone che provengono da contesti di oppressione e violenza e, una volta intrapreso il viaggio e approdate nei confini di Israele, vengono segregate dentro un campo d’internamento etnico, invisibile agli occhi di tutt* perchè in una zona di frontiera.
Secondo quanto raccontato dalle squadre speciali israeliane, l’intervento volto a sedare la protesta non è stato violento perchè le persone sono state forzate a tornare nelle celle pur opponendosi con la resistenza passiva.
Domenica 5 maggio, dopo 3 giornate di lotta, sono stat* quindi tutt* obbligat* a tornare nelle celle e quest’operazione ha portato al ferimento di 2 carcerieri. Nulla è dato sapere sulle condizioni delle persone internate.
Per conoscere qualche dettaglio in più sulla “Prevention of Infiltration Law”, ovvero il dispositivo legale che Israele utilizza per internare “gli infiltrati”, ovvero migranti criminalizzati per quello che sono: “Sfruttamento e marginalità imposte. Odio e squadrismo razzista anche in Israele”.
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