Issa Amro, coordinatore di Youth against settlement, arrestato al ponte di Allenby

Fonte: PopularStruggle
Foto: ActiveStills

Issa Amro, coordinatore di Youth Against Settlements, è stato fermato la notte scorsa dalle autorità israeliane al ponte di Allenby. E’ stato arrestato e portato nella stazione di polizia a Hebron, dove è stato interrogato per ore perchè sospettato di essere coinvolto nell’organizzazione dell’azione delle donne che avuto luogo a Hebron mercoledì scorso a Shuhada Street, strada segregata e interdetta ai/alle palestinesi.

Amro era in viaggio verso l’Italia per un tour d’incontri organizzato dall’ Associazione italiana per la pace, per incontrare membri del parlamento e del senato italiano e rappresentanti di differenti municipalità.

Issa Amro, noto attivista della resistenza popolare a Hebron, nel passato è stato arrestato diverse volte dall’esercito israeliano per la partecipazione ad attività di protesta contro le pratiche di occupazione a Hebron.  Nel corso di questi anni, Youth Against Settlements ha promosso una campagna globale per la riapertura di Shuhada street, principale centro di commercio a Hebron, chiusa al transito di palestinesi nel 1994.

Lo scorso mercoledì, circa 15 donne israeliane ed internazionali vestite con abiti tradizionali palestinesi hanno camminato per Shuhada Street in una protesta silenziosa contro l’interdizione della strada all’accesso di donne palestinesi.
Le donne dopo poco sono state fermate dall’esercito israeliano e attaccate dai soldati e dai coloni. Cinque attiviste e una giornalista sono state arrestate durante l’azione. Durante la  giornata, un uomo palestinese è stato arrestato con il sospetto di aver “cospirato” per la stessa azione. Tutte e 7 sono state rilasciate durante le 24 ore successive, tre di loro con l’ordine di restrizione di non poter entrare per 90 giorni nell’area A e ad Hebron.

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La storia di Aqil al terzo anno dalla sua uccisione

Dal sito del villaggio di Ni’lin

In memoria di un eroe: 5.06.2012 il terzo anniversario dall’assassinio di Aqil Srour

Aqil Srour, un eroe uguale a migliaia di altri, nasce il 24 aprile 1972 e cresce in West Bank nel villaggio di Ni’lin. Sua madre muore quando lui ha solo un anno e sia lui che i suoi 3 fratelli e le sue 2 sorelle crescono con il padre. Durante la prima Intifada, nel 1994, Aqil viene arrestato e condotto in una prigione militare sionista. Il padre morì senza poterlo mai più rincontrare.

Aqil, l’eroe, ha dedicato l’intera vita alla lotta per liberare la Palestina dall’occupazione israeliana, alla sua gente, venendo arrestato in 5 occasioni dalle forze d’occupazione israeliane. La prima volta viene arrestato durante la Prima Intifada e questo arresto l’ha costretto a passare 4 anni in una prigione militare israeliana.  Il suo ultimo arresto è stato durante la lotta contro la costruzione della barriera di segregazione a Ni’lin, iniziata nel 2008, e questa volta ha passato 4 mesi e mezzo in prigione ed stato costretto a pagare una sanzione di 2000 $, una somma enorme per qualsiasi palestinese. Nella sua vita ha trascorso più di 6 anni in prigioni militari come Majeddo, Jalbou, Negeve e Ofer dove è stato soggetto di molteplici brutalità durante gli interrogatori. E’ stato inoltre internato in cella d’isolamento sotto terra nella prigione di Almasqubya, vicino Gerusalemme.

Dopo la Seconda Intifada si è sposato e ha avuto 4 bambin*, la più piccola di loro ha 3 anni e si chiama Ramees.

Mentre il muro di segregazione era in costruzione sulle terre del suo villaggio, la casa di Aqil ha subito diverse brutali incursioni da parte delle forze d’occupazione israeliane.  Suo fratello maggiore con problemi mentali è stato colpito nell’occhio sinistro con un proiettile rivestito di gomma sa non più di 15 metri di distanza il 30 ottobre 2008, mentre i soldati israeliani invadevano il villaggio di Ni’lin. Il comandante dell’esercito israeliano ha ordinato di sparare al fratello di Aqil a distanza ravvicinata mentre lui stava gridando ai soldati chiedendo le motivazioni dell’arresto di Aqil.

Aqil Srour è stato costantemente preso di mira dalle forze occupanti dal primo momento in cui è iniziata la lotta contro la costruzione della barriera a Ni’lin. Gli hanno più volte sparato addosso durante le manifestazioni pacifiche. Solo due settimane prima di essere assassinato aveva riportato ferite dopo essere stato colpito in faccia da un candelotto di lacrimogeno. Continua a leggere

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Ancora un attacco al The Freedom Theatre

Il sito web del Freedom Theatre esprimete la vostra solidarietà contattandoli.

Comunicato stampa del Freedom Theatre nel campo profughi di Jenin, parte nord della West Bank
6 giugno 2012

Alle 3:15 circa l’esercito israeliano è entrato a casa di Nabil Al-Raee, il direttore artistico del Freedom Theatre, e l’ha portato in un posto tuttora sconosciuto.

La moglie di Nabil, Micaela Mirand ci racconta cosa è successo: “Il cane ha iniziato ad abbaiare perciò sono uscita e ho visto i soldati scavalcare l’ingresso ed entrare nel cortile di casa. Hanno chiesto di mio marito e io ho chiesto il motivo, è mio diritto saperlo ed erano in casa mia. I soldati hanno risposto che non me l’avrebbero detto.
Poi hanno preso Nabil, l’hanno fatto salire su una jeep dell’esercito e sono andati via. Siamo davvero preoccupati perchè non sappiamo dove l’hanno portato e il perchè”

Jonatan Stanczak, amministratore del Freedom Theatre: “Vivo nel piano sopra di Nabil e quando ho sentito cosa stava accadendo ho provato a scendere per parlare con i soldati perchè io parlo ebraico. La casa era circondata da soldati israeliani con i passamontagna e tre di loro mi hanno immediatamente puntato le armi contro spingendomi dentro casa”

Sono stati fatti immediatamente dei tenatativi per contattare l’ufficio distrettuale che coordina l’esercito israeliano ma invano.

Più della metà dei dipendenti del Freedom Theatre sono stati recentemente convocati per interrogatori dall’esercito israeliano, incluso Nabil Al-Raee. Tutti sono andati ai colloqui programmati e hanno risposto alle domande sebbene minacciati e intimidati.

Jonatan Stanczak continua: “Non capisco perchè l’hanno fatto dato che sarebbe bastata semplicemente una telefonata a Nabil e lui sarebbe andato a rispondere alle loro domande o quello che era di loro interesse. Dato che è accaduto molte volte nel passato, non posso fare altro che interpretarlo come le continue vessazioni che i dipendenti del Freedom Theatre e le loro famiglie ricevono dall’esercito israeliano.”

In questo momento non è chiaro se altri mebri del Freedom Theatre sono stati presi durante la notte. Alcuni non hanno risposto alle chiamate al telefono.

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Voci di donne dalla rivoluzione egiziana – Episodio 3 – Evelyn Ashamallah Eskandar

Continuano le traduzioni di Free Palestine Roma degli episodi di “Words of women from the Egyptian Revolution”. In questo episodio parla Evelyn Ashamallah Eskandar. Viene da Disuq dalla città di Kafr El-Sheik , a nord del Delta. Ad agosto compirà 64 anni. E’ stata sempre una donna ribelle che ha recentemente partecipato ai giorni della rivoluzione e non ha mai lasciato la piazza.

Guarda anche i primi due episodi che abbiamo tradotto:
Episodio 1 – Rasha Azab
Episodio 2 – Sabah Fawaz Ibrahim

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Egitto: la Rivoluzione non è finita

In questi giorni in Egitto ci sono stati due importanti eventi: il primo turno delle elezioni, le prime dopo la cacciata di Mubarak e il processo proprio all’ex presidente e a tutta la sua giunta per l’uccisione dei rivoluzionari e per altri reati come corruzione e coinvolgimento nella vendita di terre dello Stato a prezzi illeciti, come ai suoi figli Gamal e Alaa. Il processo ha avuto luogo nell’Accademia di polizia al Cairo, ad aspettare l’ex presidente fuori dalla Corte i genitori dei ragazzi uccisi nella rivoluzione. Mubarak è arrivato in elicottero, mentre gli altri imputati erano già all’interno della corte dietro le sbarre.

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“Vogliamo tutto?” Considerazioni sul Pride di Tel Aviv

Ci preparano da tempo a raccogliere con entusiamo l’invito al Pride di Tel Aviv e alcune agenzie di turismo come Quiiky Viaggi, della società Sondersandbeach, martellano costantemente con pubblicità per il prossimo 8 giugno. Si tratta di business del “turismo gay” basato su pura propaganda e supportato da “intellettuali”, come Angelo Pezzana, che godono di notorietà solo perchè vicini all’organizzazione sionista italiana “Amici di Israele”.  L’ipocrisia trasforma addirittura una star ultra ricca come Madonna nella madrina spirituale, garante del clima “gayfriendly” certificato dal test dell’American Airlines che elegge Tel Aviv “World’s Best Gay City”.

Pensiamo sia utile rimanere con lo sguardo nel nostro quotidiano, partire da contesti di lotta brillantemente recuperati dal sistema di diritti basato sul privilegio e ribadire alcune considerazioni fatte in occasione dell’Euro Pride 2011 tenutosi a Roma per poi analizzare il contesto israeliano. Continua a leggere

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Red Hot Chili Peppers: Playing for a better day non è possibile in Israele

Una lettera aperta da BDS Italia
fonte: StopAgrexcoItalia 

Firmate la petizione internazionale che chiede ai Red Hot Chili Peppers di annullare il concerto in Israele!

Cari Flea, Anthony, Chad e Josh,

Dopo aver appreso del vostro concerto previsto a Tel Aviv, ci siamo sentit@ in dovere di aggiungere le nostre voci al coro internazionale di appelli ad annullare quel concerto. Essendo una band con una coscienza, non possiamo vedervi suonare in una bolla privilegiata, circondata da milioni di palestinesi costretti a vivere sotto l’oppressione, l’apartheid e l’occupazione israeliana.

I testi della vostra musica sono in netto contrasto alle politiche di Israele, che impongono una brutale occupazione per cacciare le persone dalla loro terra nativa [1], leggi razziste che smembrano le famiglie [2] e una violenta repressione per sopprimere la resistenza nonviolenta[3]. Continua a leggere

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Notte di attacchi razzisti a Tel Aviv contro i/le migranti africani/e

foto via @activestills Activestills.org

Abbiamo già raccontato altri episodi e pensiamo si tratti del quotidiano anche grazie ad una retorica razzista spaventosa che riconosciamo perfettamente da questa parte del Mediterraneo, nel “nostro bel paese” che nelle cerimonie dice di aver chiuso con i mostri del passato.
Anche il dominio coloniale di Israele usa il razzismo per oliare l’ingranaggio e si avvale di una struttura piramidale per controllare la popolazione.

Mentre il governo israeliano annuncia e si prepara ad una “deportazione di massa ” (finalmente un termine capace di richiamare alle peggiori pagine della storia europea recente) nelle strade di Hatikva, quartiere di Tel Aviv, risuonano grida vergognose: “La popolazione vuole vedere i Sudanesi deportati”, “Infiltrati fuori da casa nostra”, “Questa non è l’Africa”, “basta chiacchiere, iniziamo le espulsioni”.
Se aiuta a realizzare quello che è accaduto questa notte, abbiamo già pubblicato in passato un video sottotitolato con dichiarazioni simili.

Ma si affrettano a spiegare che NON E’ RAZZISMO e che “il problema è che siamo diventati una minoranza nel nostro quartiere e i sudanesi sono la maggioranza”
Intanto però, Miri Regev, del partito Likud che siede in parlamento, definisce i sudanesi (termine utilizzato per definire qualsiasi africano) un cancro e dopo il comizio di Michael Ben-Ari si accende la folla.

Negozi di commercianti migranti nati/e in Eritrea assaltati, macchine con finestrini infranti, caccia all’uomo/donna nelle strade con pestaggi e rastrellamenti, odio puro tra festeggiamenti vomitevoli.
In attesa di ricostruire meglio ciò che è accaduto, ascoltare le testimonianze e la rabbia della comunità africana, vi lasciamo ad alcuni frammenti di video che abbiamo trovato in rete. Continua a leggere

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L’ultimo attacco armato dei coloni di Yitzhar accompagnati dall’esercito

Sabato 19.05 un gruppo di coloni ha fatto incursione nelle terre di Asira al-Qibliya (Nablus) provocando gli abitanti del villaggio palestinese con il lancio di pietre.
Il villaggio è adiacente all’insediamento coloniale di Yitzhar e dopo poco è intervenuto l’esercito occupante israeliano che ha supportato l’attacco brutale proprio nel momento in cui saltavano fuori le armi da fuoco tra le mani dei coloni sionisti.
Si tratta inoltre di armi in dotazione all’esercito e di un’operazione squadrista capace di confermare che nonostante Israele si affanni a definirlo come il suo “esercito di difesa” (IDF) ancora una volta gioca puramente un ruolo da esercito occupante (IOF) che attua o spalleggia le operazioni naturali di un progetto coloniale.
La resistenza degli abitanti del villaggio è stata degna e rabbiosa nonostante gli spari abbiano provocato il ferimento di un ragazzo, dal 2011 questo tipo di attacchi brutali è aumentato del 50%.
La ricostruzione attraverso video e testimonianze è stata pubblicata anche su OccupiedPalestine di seguito solo un breve video:

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Shalit e Godzilla: al Campidoglio tra guerra e menzogne

Questa volta si sono arrampicati sulla scalinata del Campidoglio senza tirapugni e grida razziste contro gli arabi, è bastata qualche giacca e cravatta per “celebrare il sodalizio” tra i poteri politici e quella parte di comunità ebraica che in tempi di campagna elettorale non sa più a chi dare i resti…

Questa volta si sono scambiati i ruoli nell’affannarsi a rilasciare dichiarazioni che si spalleggiassero l’uno con l’altro.
Se il governo cittadino prende Shalit come simbolo della lotta al fondamentalismo (dimenticando i principi sionisti sui quali si basa la natura dello stato coloniale israeliano), spetta al presidente della comunità ebraica invocare il rilascio dei due cecchini italiani imprigionati per aver ucciso dei pescatori… ovviamente si tratta di pura coerenza: se un cecchino di contadini è ora cittadino onorario di Roma, dei cecchini di pescatori dovranno esserlo a loro volta.
A loro lasciamo l’onore…

I brividi nel vedere un camerata con la fascia tricolore dimenarsi tra alcuni esponenti della comunità ebraica vengono temporaneamente riscaldati dalle grasse risate suscitate da questa dichiarazione riportata dalla stampa di regime:
“Il sindaco Alemanno, dopo aver consegnato la cittadinanza onoraria, ha regalato a Shalit lo stendardo che dal 2009 era esposto in piazza del Campidoglio. “Lo stendardo che abbiamo tenuto esposto in questa piazza e non è mai stato tolto te lo regalo – ha detto Alemanno – perché ti ricordi di questi anni anche dal nostro punto di vista. Ti vogliamo bene”.

Ritorna il trasformismo e da Godzilla si diventa Pinocchio…
Come già raccontato in passato, lo stendardo a cui si fa riferimento scomparve clamorosamente, per poi essere ristampato e riattaccato dopo tempo, quando Godzilla si fece prendere dalla gelosia.

Non c’era bisogno di mentire per supportare militarmente, economicamente e politicamente la brutalità coloniale di Israele.

Per quanto ci riguarda “riportate a casa” i turisti italiani che viaggiano in Israele narcotizzati dalla propaganda.
Al fianco dei/delle prigionieri/e palestinesi in lotta, fuoco alle carceri!

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