Pinkwashing: una trasmissione in radio

Vi proponiamo la trasmissione andata in onda martedi 7 febbraio alle 20 sugli 87.9 di Radiondarossa all’interno del Martedi autogestito da Femministe e Lesbiche sul Pinkwashing fra colonizzazione, democrazie liberali e diritti dei gay

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Donor Opium, l’impatto degli aiuti internazionali in Palestina

Questa volta sono i/le palestinesi a parlarci della comunità internazionale.
Una comunità internazionale fatta, da un lato, di complici silenzi o investimenti politici ed economici delle potenze mondiali nel progetto coloniale israeliano e, dall’altro, di donazioni, progetti e aiuti economici allo sviluppo nei confronti della Palestina.
Quali sono gli effetti?
1 parte

2 parte.

Vi proponiamo la traduzione di questo video per stimolare alcune considerazioni sulla solidarietà internazionale, partendo dalla situazione palestinese e passando al supporto concreto che possiamo scambiarci tra popolazioni in lotta per la libertà e l’autodeterminazione. Per la versione scaricabile, contattateci.

Testi consigliati:
Gli aiuti allo sviluppo contribuiscono a mantenere i palestinesi in gabbia
L’eccezionalità d’Israele: normalizzare l’anormale

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“Mubarak non è più al potere, ma noi siamo ancora imprigionati” di Mohamed Majdalawi

traduzione a cura di Free Palestine Roma, dal blog di Mohamed Majdalawi

Negli ultimi giorni del mio tour in Inghilterra, dove ero stato in visita per un programma di leadership, ho lasciato Manchester per tornare a Londra per andare dall’ambasciata egiziana ed ottenere il m visto per entrare in Egitto, così da tornare a casa a Gaza. Ho ricevuto il mio visto il 21 dicembre, per partire il giorno successivo. Il mio supervisore del programma, il dottor Imad mi disse che voleva venire con me all’ aeroporto. Tre ore prima del mio volo, siamo andati a cena, dove abbiamo discusso il programma di leadership e i cambiamenti che immaginavamo nella nostra comunità nel futuro. Il discorso era buono, e stimolante, ma durante la conversazione, mi disse che sperava che gli Egiziani non mi avrebbe mandato nella stanza di detenzione. Lui era stato lì,e mi racconto’ dello stato miserabile di quella detenzione.

Essendo la prima volta che viaggiavo da Gaza ad aderivo al programma di formazione della leadership, non sapevo di questa stanza. Dopo cena, il dottor Imad mi ha portato all’aeroporto Heathrow di Londra, e mi sentivo sicuro su tutto. Sono arrivato all’aeroporto internazionale del Cairo alle 4.30 del mattino, e seguivo i miei compagni di viaggio,che avevano già passato i controlli. Quando fu il mio turno, ho dato il mio passaporto alla  donna seduta al tavolo. Lei lo guardò stranamente, e poi mi ha chiesto di sedermi sulla sedia. Rimasi lì a lungo, con la mia famiglia preoccupata,  mia madre mi chiamava ogni ora. Le ho detto che non sarei stato inviato nella stanza di detenzione. Avevo ancora speranza.

Durante questo periodo, guardavo altri presentare il passaporto e ottenere il permesso di andare a casa. Mi si è spezzato il cuore e ho sentito che questo era disumano – aspettare 2 ore per avere una risposta – ed ero preoccupato per la mia borsa. Sono tornato dalla donna del tavolo e le dissi che ero stato lì per due ore, e che avevo bisogno di una risposta su dove stavo andando. Un poliziotto si avvicinò e disse: “Siediti qui, e non parlare troppo. Stiamo aspettando il poliziotto, che ti prenda e ti porti nella stanza di detenzione. Non avrai indietro il passaporto fino sabato mattina. ”

Sono riuscito ad riprendere i miei bagagli solo dopo aver pagato un poliziotto. Alcuni studenti palestinesi si sono uniti a me in quel momento. Erano venuti dalla Malesia, dopo aver visitato le loro famiglie durante le feste natalizie. Alla fine dopo due ore ci hanno condotti nella stanza, e c’erano anche delle giovani ragazze dentro.

La camera era in cattivo stato, inospitale e malsana,  affollata di giovani palestinesi, che erano venuti a visitare, o incontrare le loro famiglie. C’era un bagno in camera e l’odore era pessimo. E nonostante il fatto che la gente a volte fosse bloccata qui per diversi giorni, non c’erano letti, solo sedie. Così la gente usava quello che avevano per dormire sul pavimento. Qualcuno si lamentava per la  negligenza, la sofferenza, e la tragedia. Un altro ha scritto la data in cui entrò nella stanza, sulla parete, e disse che non aveva idea di quando sarebbe stato in grado di lasciarla. Uno, Abu Karem, mi ha detto che quello era il suo terzo giorno qui, e sperava di poter viaggiare  il giorno seguente. Ho visto anche un amico che era venuto dal Qatar, dove stava seguendo un corso di formazione con Al Jazeera, ho incontrato gli ingegneri palestinesi; ho incontrato qualcuno che era andato per la prima volta a incontrare il nonno in Arabia Saudita.

Ma un poliziotto egiziano ci ha detto che rispettava noi stessi e dovevamo rendere grazie a Dio di trovarci in quella stanza.

Alcune delle persone nella stanza sono state trattenute lì per più di cinque giorni e non aveva più soldi perché doveva comprare tutto il cibo che le guardie davano, che ci hanno venduto a tre volte il prezzo originario.

Infine, il giorno successivo alle ore 10, un rappresentante dell’ambasciata è venuto a prendere tutti noi fino al confine di Rafah. Ha avuto i nostri passaporti e abbiamo pagato soldi per le tasse degli autobus, e siamo arrivati al confine alle 5 del pomeriggio, dopo una giornata molto lunga. Continua a leggere

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La popolazione egiziana è nelle strade

Streaming dalla piazze del Cairo che mentre scriviamo sono in rivolta:
http://www.ustream.tv/Egypt

Dopo la partita di calcio a Port Said tra Al masry e Al-ahli (una delle squadre più seguite in Egitto insieme a al-zamalek, come Roma/Lazio per intenderci) ci sono stati scontri.
A fine partita con la vittoria del Ahli i racconti sono che la sicurezza interna dopo aver fatto uscire i tifosi del Al masry, abbiano chiuso lo stadio con le transenne e lì sono iniziati gli scontri con gli Ultras del Ahli, gli Ultras hanno un ruolo cruciale negli avvenimenti della rivoluzione, sono ragazzi dall’età media che va dai 16/17 ai 24/25 circa, sono sempre in prima linea sono Molto uniti fra di loro, hanno i loro cori che ovviamente non sono solo da tifoseria da stadio, ma di lotta e rivendicazione.
Sono gli stessi ragazzi che erano in prima linea insieme agli altri durante gli scontri di Mohammad Mahmud giusto per citare un esempio e si incontrano in ogni angolo della città dai cortei alle manifestazioni e ai presidi.
Quando hanno aperto i cancelli e li hanno fatti uscire dallo stadio c’erano ormai oltre 70 morti e circa mille feriti.
I feriti gravi sono rimasti negli ospedali di Port Said i feriti lievi sono tornati dalla trasferta al Cairo intorno alle 03.30 ora locale.
Ad attenderli c’erano circa mille persone, tra familiari e ragazz* e le ambulanze per i soccorsi. Uno dei cori più urlato è stato: “Ya negib haohom ya nmut zayohom = O gli rendiamo giustizia o moriamo come loro”.
I racconti dei feriti sono agghiaccianti. Molti erano soltanto feriti e nel ricevere i primi soccorsi dalle ambulanze di Port Said sono stati presi e massacrati fino alla morte.
Sono state usate pochissime armi da fuoco, per lo più spari per aria e la maggior parte di loro è stata pestata selvaggiamente a morte, alcune foto atroci sono la testimonianza di ciò che raccontano.

Migliaia di persone hanno atteso l’arrivo del treno degli ultras del Al Ahly,
per accogliere i feriti e i superstiti, il video:
http://youtu.be/J7KylVBDQVA

Ieri notte manifestazione di solidarietà appoggiata anche dagli UWN (ultras white knights), i tifosi dello zamalek, l’altra squadra del Cairo, che appena saputo quello che succedeva a Port Said hanno dato fuoco allo stadio al Cairo e sono scesi in strada: gli ultras delle due squadre, insieme a migliaia di altri attivisti che respingono la questione posta nei termini di “violenza tra tifoserie”.

E’ chiaro che quello che è successo ha altre ragioni, non vorrei ripetere cose già ovvie, ma ricordo che le tifoserie del Al Ahly e dello Zamalek sono un fenomeno particolare che li vede riconosciuti come eroi della rivoluzione, in quanto hanno rappresentato una forza organizzata in grado di resistere alla brutalita e alle continue violenze che la piazza rivoluzionaria ha subito.

Gli ultras, gemellati in chiave “rivoluzionaria” sono sempre nelle prime linee e nelle barricate e hanno cominciato ad identificarsi in maniera forte come i difensori della piazza. Come dicono alcuni di loro “abbiamo fatto sognare la gente egiziana che insieme a noi ha capito che dopo tanti anni di soprusi indiscriminati da parte delle forze di Mubarak era possibile rispondere e respingere la violenza poliziesca”.
Per questo adesso vengono accolti come eroi dalle migliaia di persone che poco o nulla sapevano fino ad un anno fa di questi gruppi di giovanissimi abituati a scontrarsi con la polizia.

Per questo quello che è successo viene visto da molt@ come una vendetta verso “l’esercito popolare della rivoluzione”.

In questo momento la popolazione è in piazza e il corteo è andato verso il ministero degli interni e piazza Tahrir, mentre per domani sono previste diverse manifestazioni che in maniera forte continuano a chiedere la testa di Tantawi…

I tifosi di queste squadre hanno continuato in questo anno a portare dentro lo stadio le rivendicazioni della piazza, scandendo cori e ricordando i morti ammazzati oltre alle persone imprigionate nelle carceri egiziane.

Alcuni link:
Coreografia con le facce di alcuni arrestati per i quali chiedono la liberazione: “Freedom for ultras” 16/9/2011

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Volti di Tahrir

Volentieri pubblichiamo una serie di reportage radiofonici realizzati da Marco Pasquini con Luca Mandrile e Emiliano Sacchetti dalla piazza simbolo della rivoluzione egiziana nei giorni della ripresa degli scontri e durante le prime elezioni presidenziali post-Mubarak.


Khaled: tifoso della squadra di calcio cairota Al-Ahly, gli ultras della quale hanno dato un contributo fondamentale alla rivoluzione di gennaio.

Farouk: un anziano di Port Said che dal 25 gennaio 2011 siede ogni giorno in Piazza Tahrir con il suo cartello contro Tantawi


Noah: una giovane laureata in economia che ha lavorato negli ospedali da campo allestiti nella piazza subendo le cariche dell’esercito e della polizia.


Nada: filmaker ventitrenne arrestata con l’accusa di aver ucciso sette militari e pestata a sangue in una caserma del Cairo.


Elsayed: giovane professore di inglese che a Tahrir è stato ferito due volte dai proiettili esplosi ad altezza d’uomo dalla polizia.

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Internazionalizzare la questione dei prigionieri palestinesi

Ameer Makhoul, prigioniero politico palestinese detenuto in un carcere israeliano dall’aprile 2010, spiega perché la questione dei prigionieri palestinesi deve essere affrontata dalla comunità internazionale.

Il successo dell’internazionalizzazione può essere misurato da quanto un argomento o un problema diventa una questione globale. Significa creare una situazione sul terreno che renda impossibile per la comunità internazionale continuare ad eludere la propria responsabilità o a essere complice di un potere dominante nell’usurpazione dei diritti della vittima. I meccanismi internazionali possono allora essere condotti sul tavolo al fine di sostenere i diritti della vittima e di far rispettare la legge al trasgressore.
In tali casi, la giustizia è l’arma più potente in mano alla vittima per controbilanciare il potere e la forza repressiva della fazione dominante – in questo caso, il regime razzista coloniale di Israele.

Ma c’è una regola base provata e riaffermata da ogni rivoluzione popolare e movimento di liberazione: non è sufficiente per un gruppo o un popolo vittima di ingiustizia guadagnarsi la solidarietà del mondo. Perché il mondo li sostenga, le vittime non devono soltanto essere consapevoli e abnegati ai propri diritti ma, più importante, devono resistere all’oppressione e all’oppressore. La resistenza delle vittime, la sfida e la lotta sono la chiave della trasformazione della simpatia internazionale in solidarietà, nel senso di effettiva azione politica con un orizzonte strategico.
L’internazionalizzazione si lega essenzialmente e primariamente all’attivazione e la sostenibilità della solidarietà popolare globale, così come all’azione di corpi internazionali ufficiali che si assumano le proprie responsabilità.

Un movimento di solidarietà energico e globale in tutto il mondo può fare molto nell’influenzare governi, legislature e media in Paesi e società ai quattro angoli del pianeta, e nel fare pressione nelle istituzioni internazionali ufficiali affinché promuovano cambiamenti politici su due fronti: nel sostenere e rafforzare le vittime di ingiustizie e le loro speranze di vedersi riconosciuti i propri diritti, attraverso una combinazione di lotta di liberazione e legalità internazionale; e nell’indebolire e isolare il colonizzatore oppressivo e razzista, sottoporlo a sanzioni e negare la sua legittimità con il fine ultimo di smantellare le sue strutture repressive.

La posizione ufficiale palestinese in merito al rilascio dei prigionieri politici nelle celle israeliane mina la loro causa, componente centrale della lotta di liberazione del nostro popolo. Essenzialmente, la politica ufficiale prevede che l’accordo di pace finale con Israele non sarà firmato fino a quando tutti i detenuti palestinesi saranno rilasciati. In pratica, è un modo per ritardare la liberazione dei prigionieri indefinitamente e per marginalizzare la questione all’interno dell’agenda palestinese. Liberare i prigionieri dovrebbe significare liberarli ora.
Israele ha fatto di tutto per spostare l’attenzione sul caso di uno dei suoi soldati di occupazione imprigionato da palestinesi per attirare l’interesse umanitario internazionale, e allo stesso tempo chiedeva al mondo di considerare e trattare i suoi 7mila prigionieri palestinesi come “terroristi”. Continua a leggere

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Egitto…oltre il 25 gennaio…

Pubblichiamo alcuni commenti sulle giornate di lotta al Cairo che seguono quella del 25 gennaio.  A dimostrazione del fatto che non si trattava di un semplice anniversario o di una giornata nazionale da commemorare, le strade sono ancora piene e le rivendicazioni si distaccano completamente da chi vorrebbe sedare il cambiamento imponendo l’esercizio del potere militare o di una leadership politica.
Kalu ifrah, kalu iid u ihna nekul ha’ al-shahiid = Hanno detto sii felice e fai festa noi diciamo giustizia per i martiri


I giorni successivi al 25 si sono svolti altri cortei e presidi.

Nello specifico il 27 sono partiti in corteo e il punto d’arrivo era Maspiro ossia la sede dei mass media e l’informazione.

Il corteo partito da Shobra, quartiere popolare, a differenza del 25 gennaio aveva una componente a maggioranza di giovani, ma non mancavano famiglie e bambin*.

L’edificio è pieno di reti e filo spinato e dietro al grande portone d’entrata c’erano i militari in tenuta anti-sommossa, i cori erano ovviamente contro lo scaf che non vuole lasciare il potere e contro l’informazione di regime. Al-shaab yurid tadmir al-e’lam = il popolo vuole la distruzione dell’informazione. I motivi sono ovvi.

Durante il presidio la quantità di infiltrati è stata assurda, tutti intenti a fare foto soprattutto agli stranieri ma non solo.
Ieri invece è stata una giornata di allerta, dopo una lite uno degli autisti dei microbus ha sparato uccidendo un uomo/ragazzo, quindi alcune strade sono state chiuse e i controlli sono aumentati nei posti di blocco. Continua a leggere

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#25jan 2012 a Roma al fianco della popolazione egiziana in lotta

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We are Nabi Saleh (Il trailer)

Visita il sito WeAreNabiSaleh per maggiori informazioni.

“We are Nabi Saleh” è un ritratto del villaggio palestinese in resistenza. Diversi aspetti dell’occupazione israeliana si riflettono in questo villaggio di soli 500 abitanti.
Questo piccolo villaggio in West Bank non è mai più stato lo stesso quando nel 1977, quaranta famiglie ebree hanno occupato una fortezza britannica in stato di abbandono, a sole poche miglia da Nabi Saleh. Con l’arrivo della colonia di Halamish iniziò l’infame scenario.
Un checkpoint è stato installato all’entrata del villaggio di Nabi Saleh, gli ulivi sono stati tagliati per ragioni di sicurezza e seguirono ordinanze per la demolizione delle case.
Nel 2009 la sorgente d’acqua del villaggio è stata sottratta dalla colonia israeliana. Da quel momento, ogni venerdì, gli abitanti del villaggio organizzano un corteo di protesta diretto alla fonte d’acqua. Ogni venerdì la protesta viene repressa con ferimenti e arresti.

I creatori del documentario “We are Nabi Saleh” hanno seguito le manifestazioni per sei mesi e sono stati per molte settimane nel villaggio per fare un ritratto complessivo di Nabi Saleh. Il documentario uscirà in aprile.

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Speciale palestina

Vi proponiamo la trasmissione Speciale Palestina in onda il mercoledi alle 18.15 su radiondarossa. Mercoledi scorso si è fatto un aggiornamento sulla due giorni che si è svolta a Bologna il 21 e 22 gennaio scorso sulla campagna di BDS (boicottaggio disinvestimento sanzioni) contro lo Stato d’Israele. Poi una corrispondenza da Piazza Tahrir gremita di milioni di persone con tende e sacchi a pelo con la volontà di riprendersela ad un anno dalla cacciata di Mubarak.

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