Le donne nella rivoluzione egiziana: Hanan Sadek & Mona El-Sabbahy

Due generazioni a confronto. Nel quinto episodio la parola delle donne viene da una madre ed una figlia che insieme hanno condiviso i momenti di lotta.

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Le donne nella rivoluzione egiziana: Mariam Kirollos

Il sesto episodio è dedicato a Mariam Kirollos di 22 anni. Voce di una donna giovane e determinata che ci racconta parte della rivoluzione e ci spiega come le donne non sono la metà della società ma sono tutta la società.

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Queer contro l’Apartheid di Israele al Vancouver Queer Film Festival: “Dichiaratevi contro l’Apartheid israeliana”

Ringraziamo BDS-Italia per la traduzione che abbiamo scelto di riportare anche sul nostro blog. Fonte: Pinkwatching Israel

(Vancouver, Coast Salish Territories). Attivist* queer e solidali si sono riuniti fuori dal Vancouver Queer Film Festival (VQFF) durante la proiezione di “The Invisible Men”, portando cartelli glitter e distribuendo volantini rosa ai partecipanti del festival.

Si sono riuniti sotto il nome “Queer contro l’Apartheid israeliana” (QuAIA) per rispondere alla proiezione di due film al VQFF – “The Invisible Men” e “Joe + Belle” – che hanno entrambi ricevuto finanziamenti dal governo israeliano e il sostegno da parte di istituzioni culturali israeliane. In risposta alla proiezione di questi due film, QuAIA ha chiesto al VQFF di dimostrarsi solidali con i queer palestinesi e dichiararsi contro il regime di Apartheid israeliano.

“Il governo israeliano cerca di distrarre l’attenzione dalla sua brutale occupazione della Palestina attraverso campagne di pubbliche relazioni che presentano Israele come un amico dei queer ovunque”, ha dichiarato Isabel Krupp.

Secondo Arielle Friedman, “I tentativi di Israele di usare il pinkwashing per nascondere le politiche di apartheid comprendono finanziamenti e sostegno a film come “The Invisible Men”, che non rappresentano la realtà di Israele come uno stato colonialista”. Friedman ha sottolineato che “quando film come questo – prodotto da cineasti israeliani e sostenuti dallo Stato di Israele – vengono proiettati nei festival queer, si perpetua il mettere a tacere dei queer palestinesi che tutti i giorni resistono alla colonizzazione come minoranze queer”.

L’azione di QuAIA non è stata la prima a prendere parola sul film “The Invisible Men” per la sua complicità con lo stato di Israele e il pinkwashing. Al San Francisco International LGBT Film Festival 2012, attivist* queer hanno interrotto il direttore esecutivo del Festival durante la presentazione del film, criticando il festival per essere coinvolto nel pinkwashing attraverso la collaborazione con il Consolato israeliano. Quando il regista di “The Invisible Men”, Yariv Mozer, ha dovuto affrontare gli attivisti, ha risposto etichettando la Cisgiordania e Gaza come “primitivi” e ha dichiarato che stava cercando di “aiutare i queer palestinesi,” nonostante le posizioni chiare di tutte le organizzazioni queer palestinesi – tra cui PQBDS, Al-Qaws, e Aswat – siano a sostegno dell’appello per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) contro Israele, compreso il boicottaggio culturale. Continua a leggere

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No Pride in Israeli Apartheid

Video tratto dal sito No Pinkwashing e girato durante il Word Pride 2012 di Londra

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Attacco dei coloni con lancio di molotov, 5 palestinesi gravemente feriti

Ieri, mentre una famiglia palestinese proveniente dal villaggio di Nahalin era in viaggio su un taxi diretto al campo profughi di Al-Arrub per una giornata in famiglia, un gruppo di coloni ha attaccato il veicolo con il lancio di molotov.

Tutte le persone a bordo del taxi, compreso l’autista, sono seriamente ferite e sono ora ricoverate all’ospedale di Hadassah Ein Kerem. Scegliamo di non pubblicare le foto che trovate sulla pagina di Activestills, dalla quale prendiamo la notizia, per rispettare il dolore delle persone coinvolte.

Alcuni anni fa abbiamo incontrato la popolazione del villaggio durante il periodo di raccolta delle olive, quando abbiamo scelto di garantire la nostra presenza sulle terre palestinesi, al fianco della popolazione che resiste quotidianamente coltivando le terre e difendendole dal colonialismo e dall’occupazione militare israeliana.

Nahalin,  situato ad ovest di Betlemme nell’area C, quella sotto il completo dominio di israele, è circondato dalle colonie israeliane del complesso di Gush Etzion che hanno saccheggiato le risorse idriche e il 60% della terra che apparteneva alla popolazione del villaggio.
Ieri l’occupazione sionista ha devastato altre 5 vite.

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Sfruttamento e marginalità imposte. Odio e squadrismo razzista anche in Israele

Un copione che da questa parte del Mediterraneo conosciamo bene ma i rastrellamenti, l’internamento e lo sfruttamento dei migranti non sono un film.
Un crescendo di brutalità compiute dalle istituzioni ha parallelamente animato gli attacchi squadristi nei confronti delle comunità migranti africane, nelle strade di Tel Aviv e in quelle di altre città israeliane dove vige la regola, tra minacce e stereotipi, di non affittare casa e di non dare lavoro agli “infiltrati”.
Nel linguaggio dei politici al governo e della stampa, “infiltrati” o genericamente etichettati come “Sudanesi” sono le persone che entrano nei confini di Israele, passando per il Sinai e partendo dall’Africa.
Si semina sempre nella fertile popolazione nazionale di un paese colonialista il frutto marcio dell’odio razziale.

A due mesi dalla “Prevention of Infiltration Law”, che garantisce alle autorità israeliane di poter internare i richiedenti asilo utilizzando la detenzione amministrativa illimitata con un periodo minimo di 3 anni, nessuno è ancora riuscito a tornare in libertà.

Secondo la legge “non si è rifugiati”, “non c’è alcuna circostanza che permetterebbe il rilascio” e “non si può deportare nessuno/a perchè metterebbe a rischio l’incolumità della persona nel paese natio”.

Un vicolo cieco, un limbo dove si pratica la sospensione del rispetto della dignità delle persone. Alcuni sono campi d’internamento dove la detenzione non è classificata per “immigrati illegali” in attesa di deportazione ma è ideata per scoraggiare e logorare la vita dei richiedenti asilo che non possono essere deportati.

Alcune impressioni sulle condizioni di prigionia nel centro di detenzione di Ketsiot, costruito e in via di espansione nel deserto al confine tra Israele e Egitto, sono raccolte in un recente articolo di cui pubblichiamo le foto. I lavori per aumentare la capacità delle gabbie del centro di detenzione Ketsiot vogliono consentire l’internamento di 2,400 persone secondo i pronostici.

Dentro i confini urbani di Israele però, ciò che viene regolamentato dalle istituzioni è un chiaro messaggio alla popolazione, l’odio razzista trova bersagli etnicamente riconosciuti tra gli israeliani etiopi che lamentano la presenza di confini interni dentro le stesse città in cui vivono, dentro la loro nazione. Questi confini vengono perimetrati dal sempre più consistente ripetersi di attacchi squadristi o da episodi di discriminazione brutale.
Le “no-go zone” sono quindi i quartieri che hanno maggior numero di migranti africani residenti o gli stessi luoghi di lavoro, dove avvengono aggressioni, episodi di violenza verbale e repressione poliziesca.

Nel frattempo il governo sionista di Tel Aviv orienta lo sfruttamento nei confronti dei palestinesi, già oppressi dall’occupazione militare, saccheggiati dalla colonizzazione e confinati dal muro dell’apartheid.
La scelta di questi giorni è infatti quella di alzare le quote d’ingresso dedicate alla popolazione palestinese per motivi di lavoro, consentendo fino a 30.000 palestinesi di lavorare in Israele. Una manovra che viene definita assistenzialista nei confronti dell’economia interna palestinese ma anche “d’interesse per la sicurezza di Israele”, una scelta che andrà a coprire la mancanza di manodopera a basso costo dopo l’inizio delle deportazioni di lavoratori migranti, cercando di recuperare la più conveniente “tradizione” di schiavizzare la popolazione costretta dal dominio a non avere forme di autosostentamento.

Conoscere bene i vantaggi economici dei confini e delle migrazioni è anche il compito di Israele.
In un momento in cui il terrore viene distribuito tra le maschere antigas e gli sms che testano l’allerta nel paese, grazie alla propaganda della stampa di regime sappiamo anche che alla popolazione interamente immigrata, scelta su base religiosa e posta in una piramide sociale dominata dalla gerarchia militare, si aggiungeranno anche 127 statunitensi che hanno scelto di arruolarsi nell’esercito occupante israeliano.
Veri immigrati di serie A che hanno ragionato con la propria testa per produrre un’infamità collettiva.

Chi semina devastazione e saccheggio, raccoglie resistenza.


Alcuni dei link utilizzati per completare le notizie riportate hanno il semplice scopo di approfondire le informazioni nonostante non ne condividiamo il contenuto.

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Il ministero dell’ambiente israeliano ordina il blocco dei lavori per la ferrovia del treno ad alta velocità Gerusalemme-Tel Aviv

Fonte: Jerusalem Post
Traduzione a cura di BDS Italia. Ringraziamo e ripubblichiamo questa notizia.

Per saperne di più rispetto la campagna Stop That Train e il coinvolgimento della Pizzarotti S.p.a nel progetto di alta velocità Gerusalemme – Tel Aviv che vorrebbe saccheggiare e devastare le terre palestinesi, consulta la pagina web della campagna e scarica il dossier “Crossing the line” tradotto in italiano.

[Dal Jerusalem Post, il Ministero dell’ambiente israeliano blocca i lavori sulla TAV Gerusalemme – Tel Aviv. Non perché viola il diritto internazionale con la confisca di terre palestinesi, ma solo di notte perché il rumore disturba il sonno degli israeliani di Mevaseret.]

Ordine alle Ferrovie israeliane di fermare il lavoro notturno per la costruzione del treno ad alta velocità Gerusalemme – Tel Aviv a causa dei rumori

Il Ministero per la Protezione dell’Ambiente ha ordinato alle Ferrovie israeliane di fermare il lavoro notturno per la costruzione del treno ad alta velocità Gerusalemme – Tel Aviv nel tratto che passa vicino a Mevaseret Zion a causa dei rumore.

Con il provvedimento nei confronti dell’amministratore delegato delle Ferrovie israeliane, Boaz Tzafrir, così come nei confronti degli appaltatori, il ministero ha chiesto martedì che tutti i lavori sulla linea ferroviaria vicino a Mevaseret siano bloccati durante la notte.

Il rumore, secondo il ministero, è “inaccettabile”, e la società aveva già disatteso una serie di richieste ministeriali in passato. Il mancato rispetto comporterà un’indagine penale e una pena massima fino a 404.000 NIS (E. 80.000) per ogni notte di violazione, ha riferito il ministero.

“I residenti hanno il diritto di pace e tranquillità nelle loro case, soprattutto di notte”, ha detto il ministro per la protezione ambientale Gilad Erdan.

“Le Ferrovie israeliane non sono al di sopra della legge e non sarà loro permesso di distruggere la qualità della vita dei residenti.”

Il Ministero dell’Ambiente ha presentato il decreto dopo aver condotto un sondaggio tra i residenti di Mevaseret Zion, che indicava un gran numero di reclami nell’area per il rumore eccezionalmente forte a causa dei lavori pesanti durante la notte, ha detto il ministero.

In risposta, le Ferrovie israeliane hanno criticato il metodo con cui il ministero ha chiesto il blocco notturno dei lavori e l’ha deplorato per aver messo a repentaglio gli interessi nazionali israeliani.

“Il decreto del Ministero per la Protezione Ambientale mette in pericolo un progetto nazionale, di un collegamento ad alta velocità tra Gerusalemme e Tel Aviv con un investimento di NIS 8 miliardi, che dovrebbe rivoluzionare il trasporto – con la riduzione dell’inquinamento atmosferico e degli incidenti stradali sulle strade più trafficate che portano a Gerusalemme”, si legge in una nota delle Ferrovie israeliane. “Ogni ostacolo rinvierà l’attivazione della linea, danneggerà direttamente i residenti di Gerusalemme e comporterà un grave danno economico allo Stato di Israele”.

La nota dell’azienda ha dato rassicurazione che rispetterà ogni provvedimento ricevuto, ma ha anche detto che sta valutando la legittimità del decreto.

Il provvedimento, secondo le Ferrovie israeliane, è stato emesso senza discussione e senza che i rappresentanti del ministero abbiano visitato il cantiere, dopo aver ricevuto un invito da parte dell’ente responsabile per la supervisione degli aspetti ambientali del cantiere. Questo ente, la società ha spiegato, comprende rappresentanti dei ministeri degli Interni, dei Trasporti e della Protezione Ambientale.

“Il decreto è basato su esami di livelli di rumore che non sono stati forniti alle Ferrovie israeliane e sono incompatibili con le precedenti prove che sono state eseguite in passato, i cui risultati sono stati inviati al Ministero per la Protezione dell’Ambiente”, dice la nota.

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Gli ulivi della colonia Ma’ale Adumim? Saccheggiati alle terre palestinesi

Ne approfittiamo di un tour dentro Ma’ale Adumim per osservare l’impianto urbanistico di un insediamento sionista ad est di Gerusalemme, ormai diventato città.  Ma’ale Adumim era parte del complesso di Gush Etzion, già noto a chi legge il nostro blog, ma ha avuto un proprio sindaco e comune indipendente dal consiglio di giurisdizione in quanto ha ottenuto lo status della città nel 1991. Questa è diventata la terza colonia più grande nei territori palestinesi occupati militarmente da Israele.

Così come la terra sulla quale è stata edificata l’intera colonia, anche i giganti ulivi posti in maniera ornamentale sulle strade, nelle rotatorie, come trofei, sono palestinesi.
In questo caso si tratta di ulivi centenari, sradicati e saccheggiati alla popolazione palestinese per poi essere impiantati nella colonia. Alcuni, secondo la persona intervistata, avrebbero oltre 400 anni e, in altri casi, i soldati incaricati di sradicare gli ulivi dai villaggi palestinesi li hanno poi venduti nel nord di Tel Aviv.
Chi semina devastazione, raccoglie resistenza…

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La cartina delle proteste


Henry Clifford, co-presidente del Comitato per la pace in Israele e Palestina, ha pagato 25.000 dollari per affissione di manifesti a 50 stazioni della Metro-North Railroad per 30 giorni. Essi sono a “educare e informare le persone” sul contesto storico della Palestina, ha detto. Per alcuni critici i manifesti sono “deliberatamente fuorvianti e imprecisi”
Gli annunci, che sono stati acquistati dal Comitato per la pace in Israele e Palestina, mostrano la “perdita di territorio” 1946-2010. Un titolo di accompagnamento si legge:
“4,7 milioni di palestinesi sono classificati dalle Nazioni Unite come rifugiati”.

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Dai monti del Kurdistan

Dalla trasmissione “Radio Alpi libere” in onda su Radio Blackout.
Chiacchierata a più voci in un villaggio in montagna del Kurdistan Turco, realizzata a fine Marzo 2012.

Per maggiori info

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