Ancora un attacco razzista a Tel Aviv contro delle persone di origine eritrea

Dopo i recenti raid razzisti, istituzionali e non, nei confronti delle comunità migranti residenti a Tel Aviv, ancora una volta la popolazione di origine eritrea del quartiere di Saphira è stata colpita dall’ odio razzista che, sempre più spesso, esplode sia attraverso attacchi individuali, sia nello squadrismo collettivo.

Questa notte l’abitazione di alcuni rifugiati eritrei è stata assaltata da un uomo che ha aperto il fuoco contro alcune persone che dormivano nel giardino. Una persona è rimasta ferita e trasportata in ospedale.

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M-346 “frutto di una proficua collaborazione tra il Governo italiano e il Governo israeliano”

Come annunciato in un comunicato stampa di Finmeccanica nel febbraio scorso, oggi è arrivata la firma atta a siglare l’accordo tra Italia e Israele per una nuova collaborazione nel campo della militarizzazione globale. L’unica industria, in tempi di crisi economica, a cui non mancheranno finanziamenti e reclute… non crediamo sia un caso.

Riportiamo in versione integrale, non per simpatia, il testo del comunicato stampa di Finmeccanica, fiore all’occhiello dell’industria italiana, che quest’oggi festeggia uno scambio di favori con Israel Aerospace Industries/MBT Space Division restituendoci solo devastazione e saccheggio.

Finmeccanica: da accordi con Israele contratti per 850 milioni di dollari

Nell’ambito di un accordo di collaborazione tra il Governo italiano ed il Governo israeliano, Finmeccanica rende noto di avere sottoscritto oggi contratti per un valore pari a circa 850 milioni di dollari attraverso le società operative Alenia Aermacchi, Telespazio e SELEX Elsag.

Nel dettaglio, i contratti prevedono:

– da parte di Alenia Aermacchi, la fornitura di 30 velivoli da addestramento avanzato M-346. L’accordo ha un valore complessivo – che include velivoli, motori, manutenzione, logistica, simulatori e addestramento – pari a circa 1 miliardo di dollari, di cui circa 600 milioni di dollari di pertinenza di Alenia Aermacchi. I nuovi aerei andranno a sostituire gli A-4 Skyhawks oggi in servizio presso la Forza Aerea israeliana. La consegna del primo esemplare è prevista per la metà del 2014;

– da parte di Telespazio, la fornitura, in qualità di prime contractor, al Ministero della Difesa italiano di un sistema satellitare militare ottico ad alta risoluzione per l’osservazione della Terra, denominato OPTSAT-3000, per un valore superiore a 200 milioni di dollari. Telespazio sarà responsabile della fornitura dell’intero sistema: dal satellite al segmento di terra, dai servizi di lancio e messa in orbita alla preparazione ed esecuzione delle attività operative e logistiche, fino ai test in orbita ed al commissioning. La realizzazione del satellite, la cui consegna è prevista nel 2015, sarà affidata alla società Israel Aerospace Industries/MBT Space Division.

– da parte di SELEX Elsag, la fornitura dei sistemi di identificazione, comunicazione e dei computer per il controllo di volo dei 30 velivoli da addestramento avanzato M-346 e la fornitura, per un valore di circa 41 milioni di dollari, attraverso la società ELTA Systems Ltd, dei sottosistemi a standard NATO di comunicazione, link tattici e identificazione per due velivoli CAEW (Conformal Airborne Early Warning) destinati alla Forza Aerea italiana.

“Questo accordo rappresenta un’importante affermazione non solo di Finmeccanica e delle società operative Alenia Aermacchi, Telespazio e SELEX Elsag, ma dell’intero Sistema Paese”, ha dichiarato Giuseppe Orsi, Presidente e Amministratore delegato di Finmeccanica. “L’intesa, per la quale Finmeccanica esprime un ringraziamento particolare al Ministero della Difesa, è frutto di una proficua collaborazione tra il Governo italiano, il Governo israeliano, il mondo aziendale e vari altri soggetti istituzionali. Essa testimonia l’elevata capacità competitiva del made in Italy tecnologico a livello internazionale, di cui Finmeccanica è presidio fondamentale, e dimostra che gli investimenti in tecnologia rappresentano, per il Gruppo e per il sistema industriale italiano, la strada maestra per garantirsi uno sviluppo sostenibile che incrementi ulteriormente le capacità industriali, rendendole sempre più competitive su scala globale”.

V’invitiamo a leggere alcuni articoli già pubblicati sul nostro blog, Boicottare! Sanzionare! Disinvestire!
1. Proteste contro gli accordi militari tra Corea del Sud e Israele
2. Finmeccanica e Israele / Dossier “Una piovra artificiale”
3. “Metterci la faccia”
4. Desert Dusk 2011: Italia e Israele si esercitano nel ruolo di assassini
5. Italia-Israele: un’amicizia di bombe e genocidi

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Come l’ossessione per la “nonviolenza” danneggia la causa palestinese

di Linah Alsaafin – traduzione a cura di Cecilia Dalla Negra
Pubblichiamo la traduzione di questo articolo che trovate in versione originale sul sito di Electronic Intifada perchè crediamo sia ricco di spunti di riflessione sia sulla solidarietà senza frontiere, sia su quanto alcune strategie di lotta vengano recuperate e normalizzate da chi vuole costituire o proteggere un potere dominante. Quelle che riconoscerete in questo testo sono analisi che crediamo utili per comprendere la lotta contro il progetto coloniale sionista e i condizionamenti che provano a schiacciarla ma anche considerazioni importanti per allargare le reti di complicità fra chi lotta in ogni parte del mondo.

Negli ultimi anni il dibattito occidentale intorno alla causa palestinese ha utilizzato nuovi – e superficiali – aggettivi per descrivere la resistenza palestinese: la resistenza “nonviolenta” palestinese, la resistenza “pacifica” palestinese, la resistenza “popolare” palestinese, la resistenza “non armata” palestinese. E, la più popolare di tutte, la resistenza “gandhiana” palestinese.

Un dibattito adottato anche dai Comitati Popolari di resistenza palestinesi, nati in seguito al successo della storia di un villaggio in Cisgiordania, Budrus, che ha dato il via a manifestazioni popolari, riuscendo a riottenere il 95% della terra che gli era stata espropriata dal Muro di Apartheid israeliano nel 2003.

Tuttavia, la concentrazione ossessiva e maniacale su uno tipo specifico di resistenza ha, in un modo o nell’altro, contribuito alla delegittimazione di altre forme di resistenza, e nello stesso tempo a chiudere una discussione aperta su cosa sia attualmente la resistenza popolare.

Una panoramica storica della resistenza palestinese testimonierebbe l’utilizzo di diverse forme di resistenza, per quanto non siano state considerate separatamente dagli stessi palestinesi.

I palestinesi erano consapevoli di essere stati privati dei loro diritti e affrontavano i loro occupanti.

Ci sono state le manifestazioni del 1929 al Muro del Pianto contro il controllo del sito da parte degli ebrei, sostenuto dal Mandato britannico, che provocò la morte di centinaia di palestinesi ed ebrei; la sollevazione armata del 1935 guidata da Izz al-Din Qassam contro i soldati britannici; lo sciopero del commercio lungo 6 mesi contro il Mandato britannico e il colonialismo ebraico gli anni seguenti; la conseguente rivolta lunga 3 anni brutalmente soppressa dai britannici.

Durante l’inizio di quella che sarà poi conosciuta come Prima Intifada, nel 1987, l’immagine iconica di un palestinese che tirava pietre contro un esercito sofisticatamente armato, ha “redento” la resistenza palestinese dall’aver dirottato aerei negli anni Settanta.

Non c’è bisogno di spiegare

Attualmente gli israeliani, gli internazionali e sfortunatamente anche qualche palestinese “illuminato” campione di “resistenza nonviolenta” considerano il tirare una pietra un atto violento. Continua a leggere

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Quando 2 cartelli al RomaPride sono il minimo indispensabile

Portare 2 cartelli al Pride costa un po’ e non parliamo di denaro.

Prima devi fare la scritta e aspettare che la vernice si asciughi, poi devi fare i contorni scegliendo il colore che rende tutto più leggibile.

Il lavoro non è finito, tocca armarsi di cantinelle, sparapunti e cacciavite (se l’avvitatore è scomparso dal magazzino), devi prendere bene le misure e costruire una struttura che possa essere utile per portarli entrambi e agile da trasportare… alla fine bisogna provare ad alzare il tutto: “Oddio regà, è storto, non entra in macchina e con il vento si spacca e vola via!” Si parte verso il concentramento del Pride con quel “coso” che esce dalla macchina, content* comunque di portarcelo dietro.

“Enjoy Stonewall, Smash the Apartheid Wall” – “Boicotta il turismo in Israele” è un cartello fronte/retro che costa più delle scenografie dei mega Tir del Pride e ancora una volta non parliamo di soldi… è un cartello che ci racconta, conferma la nostra scelta di non finanziare l’economia di Israele con il suo progetto coloniale in Palestina e di combattere la propaganda che cercano di costruire anche con il turismo. Quel cartello è un piccolo strumento di “verità” che sei dispost* a portare lungo tutto il corteo ma che fortunatamente viene “ospitato” dall’unico carro di compagni e compagne presente al Pride già pieno di contenuti: “La nostra identità non è nazionale” e “Genova 2001 non è finita” a sostegno della campagna 10X100.

Non useremo in maniera strumentale le dichiarazioni di Anastassia Michaeli, membro del Parlamento israeliano, che due giorni fa ha dichiarato che l’aborto rende le donne lesbiche, in Italia abbiamo centinaia di “Anastassie” di questo tipo.
Non faremo neanche facile ironia sulla gamba di Netanyahu rotta durante una partita organizzata per sponsorizzare il turismo in Israele, mentre lo stesso Stato imprigiona da 3 anni un calciatore della nazionale palestinese senza alcuna accusa, senza alcun processo e senza la possibilità di avere una difesa legale.
Non abbiamo mai detto che Tel Aviv è una città dove gay, lesbiche, trans e queer israeliani vengono perseguitat* o assaltati come nelle strade di Roma, vi abbiamo però raccontato cosa c’è dietro quel “velo pink” che decanta diritti basati sul privilegio, cercando di nascondere le brutalità del progetto coloniale e l’apartheid.

Dal giorno del Pride di Tel Aviv continua a circolare la frase “Fieri di essere gay, anche in uniforme” che accompagna la celebre foto di due militari israeliani che si stringono la mano camminando. Il “fascino della divisa” è sempre stato un orgoglio nazionale e non si tratta di gusti quando in noi suscita il totale disprezzo.
Ci occupiamo da tempo di documentare tutte le violenze disumane dell’esercito sionista, combattiamo la militarizzazione dei nostri territori e il controllo sulle nostre vite, disprezziamo l’ordine gerarchico di qualsiasi bandiera. Come possiamo parlare di una grande conquista di diritti se, come ormai noto, in Israele il servizio militare è obbligatorio per tutt* e chi non è fiero di quella divisa e rifiuta con dignità di fare il servizio militare per uno Stato assassino viene incarcerat*?

Non amiamo rispondere ad accuse infamanti che si basano su profonda ignoranza (che vorremmo tanto fosse involontaria) ma, se il cartello portato al Pride ha costretto celebri difensori del colonialismo di Israele a prendere parola, vorremmo almeno dare qualche suggerimento per la prossima volta:

– La campagna BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) non è contro le persone o la popolazione ma contro responsabili e complici del colonialismo sionista e dell’apartheid. Possibile che leggete solo i manuali di propaganda e non vi accorgete che ci sono israeliani che portano avanti la campagna vivendo in Israele? Continua a leggere

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Quando il Pride era rivolta

Vi proponiamo un’intervista fatta all’attivista Sylvia Rivera partecipante nel 1969 alle rivolte di Stonewall. Sylvia venne a Roma in occasione del world pride, stava già male ma questo non le impedì di partecipare a quello che può considerarsi l’ultimo pride di movimento di questo paese. Sylvia in quanto militante attraversò Radiondarossa e quei centri sociali che oggi tanto si vuole cacciare da quella manifestazione. Eppure Sylvia a noi dei centri sociali ci ha insegnato e lasciato molto. A ribellarci ai soprusi delle forze dell’ordine e a tutto ciò che è autoritario, lasciandoci in eredità che non si può lottare solo per la propria identità ma che i principi e le libertà devono essere internazionali.
Nel 2002 Sylvia ci ha lasciato, con lei è morto quel quartiere di rivolta newyorkese Greenwich Village diventato solo un luogo di vetrine e divertimento, ma soprattutto con lei se ne è andata la memoria e lo spirito del Pride, quello della gioia della rivolta da chi ci vuole omologati e asservite alle logiche dei giochi di potere sui nostri corpi.
Ecco pensiamo che se quest’anno Sylvia avesse partecipato al Pride avrebbe sfilato con quel carro dei centri sociali e di Radiondarossa come aveva fatto nel 200o e avrebbe gridato con noi che La nostra identità non è nazionale!
Boicottiamo Israele e rifiutiamo l’Apartheid!

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Enjoy Stonewall, Smash the apartheid wall – RomaPride – Boicotta il turismo in Israele

 

 

 

 

 

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40 prigionieri palestinesi feriti durante un’incursione dentro la prigione israeliana di Eichel

fonte
Lunedì circa 40 prigionieri palestinesi rinchiusi nella prigione di Eichel hanno subito diverse ferite durante l’assalto, con cani e manganelli, di un ingente dispiegamento di unità militari israeliane Nahshon.

I soldati dell’unità Nahshon hanno costretto i prigionieri a mettersi in fila sotto il sole cocente e hanno picchiato alcuni che avevano rifiutato di togliersi i vestiti per la perquisizione.

I soldati hanno anche fatto incursione nelle celle, rovistando negli effetti personali dei prigionieri e confiscando i ventilatori per far soffrire il caldo estivo ai prigionieri.
I carcerieri hanno trasferito 16 prigionieri dalle loro celle ad alcune più strette picchiandoli.

Fonti attendibili affermano che i prigionieri hanno comunicato all’amministrazione carceraria che non mangeranno finchè non gli verranno restituiti gli effetti personali confiscati.

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Cinque ordini di fermo dei lavori consegnati al villaggio di Tuba, nelle Colline a Sud di Hebron

At-Tuwani – Alle 11:30 del 18 giugno il DCO (District Coordination Office: la sezione dell’esercito israeliano che si occupa dell’amministrazione civile dei territori palestinesi occupati) ha consegnato nel villaggio palestinese di Tuba cinque ordini di fermo dei lavori che coinvolgono le proprietà di due delle tre famiglie che vi abitano.
Gli abitanti della comunità avranno tempo fino al 9 Luglio per fare ricorso alla Corte Suprema e tentare di impedire che tali provvedimenti vengano convertiti in ordini di demolizione esecutivi.

Gli ordini coinvolgono complessivamente 20 persone e contano: tre tende, un servizio igienico di lamiera, un complesso per le pecore e un padiglione per quanto riguarda la prima famiglia; una tenda usata come magazzino, una tenda con pavimentazione in cemento e una casa di proprietà della seconda famiglia.
Infine sono stati consegnati ordini di stop ai lavori a dieci pannelli solari e una turbina elettrica donati nel 2010 dalla ONG israeliana Comet-Me. Gli obiettivi perseguiti da quest’ultima sono la crescita sociale ed economica delle comunità locali attraverso il supporto materiale e la sostenibilità ambientale.

Le famiglie palestinesi di Tuba hanno già subito un’ evacuazione forzata da parte dell’esercito israeliano nel 1999, nell’ambito di un piano di evacuazione della Firing area 918 (ancora oggi area di esercitazioni militari).

Il villaggio si trova in una posizione isolata: la strada pubblica che collega Tuba alle comunità vicine dove si trovano i servizi primari (come Yatta e At-Tuwani) è vietata ai palestinesi poichè passa tra l’insediamento di Ma’on e l’avamposto di Havat Ma’on. Per questa ragione gli abitanti sono obbligati a percorrere strade secondarie più lunghe e non sempre sicure. Da Havat Ma’on, infatti, periodicamente partono violenti attacchi a danno dei palestinesi, specialmente bambini. A partire dal 2006 questi ultimi percorrono ogni giorno la strada che costeggia l’avamposto per raggiungere la scuola, situata nel vicino villaggio di At-Tuwani, solamente scortati dall’esercito israeliano.

Le comunità palestinesi delle Colline a Sud di Hebron sono quotidianamente impegnate nell’affermare i propri diritti e a resistere in modo nonviolento all’occupazione israeliana. Lo dimostra la campagna in corso a sostegno del villaggio palestinese di Al Mufaqarah (tutt’ora a rischio demolizione) in cui, a partire dal mese di maggio, palestinesi, attivisti israeliani e internazionali lavorano insieme per costruire 15 nuove abitazioni. Continua a leggere

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Lettera aperta di Alice Walker all’editore Yediot

Fonte originale PACBI
Traduzione a cura di BDS Italia
Pubblicato da Osservatorio Iraq

“Caro Editore Yediot, vi ringrazio molto per il vostro desiderio di pubblicare il mio romanzo ‘Il colore viola’. Non è possibile per me dare il permesso in questo momento per il seguente motivo: come forse saprete, lo scorso autunno in Sud Africa, il Tribunale Russell sulla Palestina ha stabilito che Israele è colpevole di Apartheid e della persecuzione del popolo palestinese, sia all’interno di Israele che nei Territori palestinesi occupati”.

La testimonianza che abbiamo sentito, sia da israeliani che da palestinesi (ero una giurista) è stata devastante. Sono cresciuta sotto l’apartheid statunitense e quella israeliana è di gran lunga peggiore.
Infatti, molti sudafricani che hanno partecipato, tra cui Desmond Tutu, consideravano la versione israeliana di questi crimini peggiore persino di quella che hanno subito sotto i regimi di supremazia bianca che hanno dominato a lungo il Sud Africa.

La mia speranza è che il movimento nonviolento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni), di cui faccio parte, avrà un impatto sulla società civile israeliana tale da cambiare la situazione.

A questo proposito, vi porto un esempio dell´impegno de ‘Il colore viola’ nella lotta mondiale per liberare l’umanità dalla sua abitudine autodistruttiva di disumanizzare intere popolazioni.
Quando fu terminato il lavoro sul film, e tutti noi che vi avevamo contribuito abbiamo capito che ci piaceva molto, il regista Steven Spielberg ha dovuto decidere se consentire al film di essere diffuso tra il pubblico sudafricano.

Mi sono impegnata contro questa idea perché, come con Israele oggi, c´era un movimento BDS della società civile volto a cambiare le politiche del Sud Africa dell’apartheid e, di fatto, a trasformare il governo.
Non era una posizione particolarmente difficile da prendere da parte mia: io credo profondamente nei metodi nonviolenti di cambiamento sociale, anche se a volte sembra che ci vogliano tempi lunghissimi.
Tuttavia mi è dispiaciuto non poter condividere il nostro film, subito, con (per esempio ) Winnie e Nelson Mandela e i loro figli, e anche con la vedova ed i figli di Steven Biko, il giornalista visionario e difensore dell’integrità e della libertà africana brutalmente assassinato mentre era in custodia della polizia.
Abbiamo deciso di aspettare. E quanto eravamo tutti noi felici quando il regime di apartheid è stato smantellato e Nelson Mandela divenne il primo presidente di colore del Sud Africa.

Solo allora abbiamo inviato il nostro bel film! E ad oggi, quando mi trovo in Sud Africa, posso tenere la testa alta e non c´è niente che ostacoli l’amore che scorre tra me e il popolo di quel paese.
Vale a dire, mi piacerebbe tanto sapere che i miei libri vengono letti dal popolo del vostro paese, soprattutto dai giovani e dai coraggiosi attivisti israeliani per la giustizia e la pace (ebrei e palestinesi) con i quali ho avuto la gioia di lavorare al loro fianco.

Mi auguro che un giorno, forse presto, questo possa accadere. Ma ora non è il momento. Dobbiamo continuare a lavorare sulla questione, e aspettare.
In fede, e che un futuro giusto possa essere ottenuto da piccoli gesti,

18 giugno 2012

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Azione in solidarietà con Mahmoud Sarsak durante la partita Scozia-Israele

Attivist* al fianco della lotta dei e delle prigionier* palestinesi nelle carceri di Israele si presentano in massa tra gli spalti durante la partita di calcio tra Scozia e Israele tifando “Palestina libera!”. La partita di qualificazione agli europei 2013 finisce Scozia 8 – Israele 0 e quindi risulta facile dire: “Sono inutili senza armi”.

Sono anche queste le occasioni dove Israele cerca di costruire la propria legittimità e speriamo che sempre più persone prenderanno parola rifiutando il progetto coloniale sionista e solidarizzando con la lotta della popolazione palestinese.

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