Report: inizia il Summer camp al campo profughi di Aida

Quest’anno il Centro Amal al Mustakbal ha organizzato per la prima volta, un summer camp nell’intento di portare all’interno del campo profughi di Aida solidali di differenti provenienza, coinvolgendoli in una serie di attività che gli permettano di fare una diretta esperienza delle condizioni di vita all’interno del campo e di instaurare una relazione senza la mediazioni di realtà di tipo associativo. L’idea del summer camp nasce anche da un’esigenza di indipendenza economica necessario per avere un’autonomia politica.
Free Palestine Roma ha supportato e promosso la realizzazione del summer camp nella convinzione che sia di fondamentale importanza continuare a garantire una presenza il più possibile costante di solidali all’interno dei territori e di contribuire a diffondere una corretta informazione su quello che avviene nella West Bank, ribadendo così la nostra linea politica che ci trova distanti dalle forme di assistenzialismo che caratterizzano tanta cooperazione internazionale.
Il summer camp si è aperto il 10 luglio con un momento di incontro tra i referenti del centro e il gruppo di solidali, durante il quale i compagni e le compagne hanno in un primo momento raccontato le origini del campo profughi e le difficili condizioni di vita, per poi passare a descrivere la storia e gli obiettivi del centro Amal. La prima giornata si è conclusa con una visita nei luoghi significativi del campo, durante la quale i compagni e le compagne hanno parlato a lungo delle ripercussioni dell’occupazione israeliana sulla vita degli abitanti. Continua a leggere

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“L’Israele che non t’aspetti” non conquista Milano

Tratto da Nena News – Scritto da Stephanie Westbrook
Per 10 giorni in Italia, la kermesse Unexpected Israel, volta a presentare “l’altra faccia” del paese. In realtà a porte chiuse si firmavano accordi per rafforzare le relazioni commerciali con l’industria privata e le istituzioni pubbliche italiane.

Per 10 giorni nel mese di giugno, Milano ha ospitato un’iniziativa promozionale volta a presentare, come ha detto l’ambasciatore israeliano in Italia Gideon Meir, “l’altra faccia di Israele”. L’evento, “Unexpected Israele” è stato patrocinato dai governi italiano e israeliano, insieme alle amministrazioni locali di comune e provincia di Milano.
Quando la manifestazione è stata annunciata nel dicembre 2010, con un costo stimato di € 2.500.000, includeva un padiglione di plexiglass di 900 metri quadrati – illuminato notte e giorno – in Piazza Duomo per far conoscere le meraviglie tecnologiche e culturali di Israele. Alla fine, sulla piazza principale di Milano non c’era altro che una piccola installazione multimediale: 15 totem parlanti che sproloquiavano i classici della hasbara (propaganda) israeliana per i pochi visitatori che osavano entrare nell’area transennata e sorvegliata dalla polizia. Continua a leggere

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At-Tuwani: Palestinesi protestano pacificamente contro l’espansione illegale dell’avamposto di Havat Ma’on, l’esercito risponde con violenza.

Comunicato stampa di Operazione Colomba
9 Luglio 2011
At-Tuwani – Durante la mattinata di Sabato 9 luglio oltre un centinaio di palestinesi provenienti da At-Tuwani e villaggi vicini, internazionali e attivisti israeliani hanno marciato contro l’espansione dell’illegale avamposto di Havat Ma’on. Alla testa del corteo i giovani palestinesi portavano un cartello con su scritto “We want to live in Peace and Dignity”.

In risposta al corteo pacifico, l’esercito israeliano ha dichiarato immediatamente l’area: “Zona Militare Chiusa”, come incentivo all’allontanamento dei palestinesi dall’area, l’esercito ha lanciato gas lacrimogeni e bombe sonore. Un palestinese è rimasto ferito in maniera molto lieve dall’esplosione di una bomba sonora, detonata molto vicino a lui.

L’azione diretta contro l’esensione dell’avamposto aveva come obiettivo la rimozione di una nuova abitazone tenda che i coloni avevano installato più di due mesi fa. I coloni costruirono questa tenda su suolo non di loro proprietà, ma bensì appartenente ad una famiglia che vive nei dintorni del villaggio di At-Tuwani.

La polizia, durante l’azione ha temporaneamente detenuto, un palestinese un internazionale e un pacifista israeliano, rilasciati in seguito grazie alla pressione degli attivisti che si erano rifiutati di abbandonare l’area.

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Attacchi dei coloni a Nablus e repressione

traduzione di alcune agenzie di stampa

NABLUS- Domenica notte, centinaia di coloni israeliani hanno attaccato le case palestinesi del villaggio di Assira Al-Qabaliya, a sud di Nablus.
In più di 500 hanno attaccato il villaggio tirando pietre e rompendo le finestre delle case.
Alcuni testimoni dicono che gli abitanti del villaggio hanno reagito tirando le pietre contro gli aggressori così innescando l’intervento dell’esercito d’occupazione israeliano che ha sparato proiettili rivestiti di gomma e lacrimogeni provocando ferimenti e difficoltà respiratorie.

Lunedì, i coloni dell’insediamento Itamar, hanno invece dato fuoco a 300 ulivi nelle terre del villaggio palestinese di Aqraba, nel distretto di Nablus.
Ogni giorno in West Bank, i contadini palestinesi sono sottoposti ad azioni di sabotaggio e distruzione delle terre volti all’espulsione coatta dai propri villaggi.
Questi attacchi avvengono nel totale silenzio e con la stretta collaborazione tra coloni ed esercito sionista.

Nel mese passato, a Giugno, l’esercito israeliano ha arrestato 300 persone tra palestinesi e solidali internazionali durante 572 incursioni nelle diverse zone della West Bank. Tra queste: 36 bambini, 4 donne, 4 avvocati e 15 attivist* internazionali.

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Bil’in: la vittoria è cominciata con la prima manifestazione, oggi è un nuovo inizio sulla nostra terra.

Traduzione: Ornella Fiore,  Associazione per la Pace
Foto: Activestills

BIL’IN: LA VITTORIA E’ COMINCIATA CON LA PRIMA MANIFESTAZIONE, OGGI E’ UN NUOVO INIZIO SULLA TERRA NOSTRA, NON PIU’ FERITA DAL MURO, RIPIANTEREMO GLI ALBERI  E LA VITA.

Per la prima volta in oltre sei anni, questo venerdì, la gente di Bil’in non ha protestato contro il Muro dell’Apartheid, né contro gli insediamenti illegali.

Per la prima volta non siamo stati bersaglio di colpi di arma da fuoco e di lacrimogeni, non siamo stati feriti, arrestati o uccisi nel corso della marcia verso il cancello del Muro.

Oggi, la gente di Bil’in, le mogli, le sorelle, le madri e le figlie di prigionieri passati e presenti, amici e famiglie dei nostri martiri, figli, padri, fratelli e di quelli già incarcerati, tutti gli abitanti di Bil’in e dei villaggi circostanti, attivisti internazionali ed israeliani, gente da tutta la Palestina, che sono stati al nostro fianco anno dopo anno, hanno attraversato il luogo in cui spararono a Bassem Abu Rahme, uccidendolo, il 17 aprile 2009 e hanno rivendicato la porzione di oliveti che l’occupazione israeliana ha tentato di annettersi illegalmente.

Oggi abbiamo pregato sulla strada per il Muro, dal quale ci hanno sparato almeno un giorno ogni settimana. Ci siamo seduti all’ombra di quegli alberi, nostri, che i sionisti non hanno tagliato o bruciato.

Oggi abbiamo costruito il primo edificio su queste nostre terre.

Oggi abbiamo danzato, cantato e calpestato i resti del Muro dell’Apartheid, ci siamo abbracciati, abbiamo parlato e pianto.

Oggi, mentre celebravamo, abbiamo sentito la presenza dei tanti che non hanno potuto essere con noi. Abdallah Abu Rahme, che solo recentemente è stato rilasciato dopo sedici mesi di detenzione, non era qui a ballare con Adeeb e tutti gli altri, Hamde Abu Rahme, che ora si trova in Germania, i figli dei nostri villaggi ancora in carcere e tutti quegli attivisti che lottano con noi e quelli respinti alla frontiera a causa della loro solidarietà – voi eravate tutti con noi.
Soprattutto, la presenza che abbiamo sentito maggiormente è stata quella di Bassem e Jawaher Abu Rahme.

Oggi nostra sorella, nostro fratello, tua madre hanno pianto e noi abbiamo pianto con lei. Sappiamo quanto costi la nostra battaglia. La vostra forza è con noi, Bassem e Jawaher, voi ci guidate e, come dice il vostro fratello Ahmad: “VOI SIETE QUI! Continueremo con voi”. Continua a leggere

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Come fare una maschera contro i gas dei lacrimogeni

fonte: Occupied Palestine
Traduciamo alcune indicazioni per autocostruire una maschera antigas con pochi elementi da reperire. Come sapete Israele utilizza la Palestina come laboratorio di sperimentazione dell’industria bellica e vi abbiamo raccontato come attacca le manifestazioni della popolazione palestinese contro il progetto coloniale.
Le responsabilità non sono difficili da trovare anche nel paese dove viviamo, Finmeccanica, la punta di diamante dell’industria italiana, collabora strettamente con l’occupazione sionista della Palestina, attraverso esercitazioni incrociate con l’esercito israeliano e il commercio di armi.
Sono innumerevoli i casi d’intossicazione da agenti chimici lanciati o sparati dai fucili in dotazione all’esercito, centinaia le persone ferite gravemente con danni cerebrali permanenti, tante, troppe, le persone che hanno perso la vita in seguito al solo lancio di lacrimogeni.
Le indicazioni che troverete vi serviranno per costruire con pochi materiali facilmente reperibili una maschera antigas, vi chiediamo di provare, darci dei consigli per migliorare questo breve manualetto e spedirci altre buone indicazioni per partecipare alle proteste contro il muro dell’apartheid e l’espansione delle colonie.
Con Bassem e Jawaher nel cuore, rifiutiamo l’Apartheid, boicottiamo Israele!


– prendi una bottiglia da due litri di plastica trasparente
– taglia come indicato nel disegno
– attacca una striscia di gommapiuma nel lato interno della bottiglia
– attacca e cuci una striscia di stoffa sopra la striscia di gommapiuma
– metti una mascherina clinica al collo della bottiglia e un elastico per fissarla alla testa
– porta una bottiglia di aceto per bagnare la bocca prima d’indossare la mascherina
[chiedi sempre che tipo di lacrimogeni sono soliti utilizzare durante le manifestazioni nel villaggio dove sei, in base a quello ti verrà indicata la sostanza più adatta da sostituire all’aceto].

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Disegno di legge per obbligare i palestinesi a pagare la demolizione forzata delle loro case.

Una commissione del parlamento israeliano ha approvato il primo disegno di legge che obbligherà i palestinesi, ai quali è stata distrutta la casa dall’esercito israeliano, a pagare al governo israeliano il costo della demolizione. La legge sarà inviata a tutto il parlamento per l’ultima lettura, e probabilmente, data l’attuale composizione della Knesset, la legge verrà approvata.

Dal 1967, Israele ha demolito 24,813 case Palestinesi. Il 90% di queste case sono state distrutte per ragioni “amministrative”- o in mancanza di permessi o perchè situate in un’area designata per l’espansione coloniale. Dal 1967, le autorità Israeliane non concedono alcun permesso per le costruzioni palestinesi nei Territori Occupati. Per il restante 10% di case demolite, si tratta di demolizioni “punitive” nei confronti di palestinesi accusati di aver attaccato Israele, o di case delle loro famiglie. Nei primi 5 mesi del 2011 Israele ha demolito più case palestinesi che durante l’intero anno 2010, rendendo senzatetto 706 palestinesi, inclusi 341 minori.
Questo secondo i più recenti dati resi noti dall’amministrazione civile.
Se questa legge verrà approvata, i palestinesi ai quali è stata demolita la casa, dovranno pagare migliaia di dollari per coprire il costo della demolizione. Già da ora, molti palestinesi proprietari di case a Gerusalemme sono stati obbligati a pagare le demolizioni forzate delle loro case.

Le forze israeliane utilizzano i bulldozers corazzati D9 della Caterpillar Corporation, fabbricati negli Stati Uniti, per effettuare le demolizioni di case palestinesi.
Sono bulldozer guidati da aguzzini spietati, sono quelli che hanno ucciso Rachel, sono gli stessi che sdradicano ulivi, devastano le terre, demoliscono le case e scavano la terra per far posto al muro dell’Apartheid e concretizzare giorno dopo giorno il progetto coloniale sionista.
Partecipa alla campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni nei confronti della Caterpillar.

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Dalla Palestina contro i CIE

In occasione della settimana di mobilitazione nei Cie nelle Carceri e negli Opg (ospedali psichiatrici giudiziari)
Domenica 26 giugno sotto un sole cocente, un centinaio tra compagni e compagne ha portato una presenza solidale sotto le infami mura del Cie di Ponte Galeria e sotto a quelle del carcere di Rebibbia.
All’arrivo al lager sulla portuense, i ragazzi del maschile erano già sul tetto con tanto di striscioni e col loro impeto urlavano: “libertà! libertà!”. Ciò era successo già nel precedente presidio e ovviamente riempie i cuori di gioia. E’ importante sottolineare la forza e la determinazione delle recluse del femminile che questa volta sono riuscite a salire anche loro!
Purtroppo i servi in divisa hanno fatto il loro sporco compito e riportandole giù e pestandone tre.
L’invito è quindi a far sentire la solidarietà nei loro confronti come meglio si crede, e intanto, per chi ne avvesse voglia, a chiamare il numero del lager [06 65854224] e dell’ Auxilium [0665854228 oppure 4215 finale], ditta che gestisce il Cie per far capire agli aguzzini che le ragazze non sono sole.

Il gruppo si è poi spostato verso il carcere di Rebibbia, precisamente davanti alla sezione femminile, in modo che le recluse potessero sentire con l’amplificazione, la musica e gli interventi al microfono la nostra avversione per quelle sbarre.
Anche qui le donne recluse hanno salutato i manifestanti e scambiato due urla, esprimendo la rabbia per un sistema fondato sullo sfruttamento, che rinchiude e tortura.
Ogni occasione è buona per portare solidarietà a chi lotta dentro una di queste gabbie che perpetuano l’oppressione e le ingiustizie di questo come di ogni Stato.
Ogni occasione è buona per sostenere le lotte degli sfrutatti.

LIBERTA’ PER TUTTE E TUTTI
BASTA CIE, CARCERI E OPG!

Ascolta la corrispondenza con un compagno che ha partecipato ai due presidi
Ascolta la corrispondenza con uno tra i ragazzi rinchiusi nel Cie

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Rafah è chiusa, l’assedio continua.

Nonostante i media di tutto il mondo parlano del valico di Rafah fluidamente attraversato dai e dalle palestinesi di Gaza, pubblichiamo due tra i video che in questo mese raccontano nitidamente il contrario. Il valico di Rafah è chiuso, l’assedio continua.
Libertà per tutti e tutte i/le palestinesi, contro ogni muro ed ogni frontiera.

Ci scusiamo anticipatamente per non aver tradotto le interviste, in ogni caso speriamo che le immagini possano parlare.

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Palestina: forme di resistenza dentro e oltre le mura dell’oppressione, trame di solidarietà internazionale

24 giugno, ore 17.30_INCONTRO/DIBATTITO @ facoltà di Fisica de La Sapienza
In Palestina, tanto nella Striscia di Gaza, quanto nei territori della West Bank, sono attive ed in continuo fermento diverse forme di resistenza giovanile che si oppongono all’occupazione militare israeliana e ai recinti che questa impone.

Alcune di queste segnano il loro cammino nel rifiuto di tutte le restrizioni che i partiti al governo, da Al Fatah in West Bank ad Hamas nella Striscia di Gaza, impongono alla popolazione e a coloro che intraprendono percorsi di lotta al di fuori dei canoni consentiti.

Ad animare questa “nuova” resistenza in Palestina sono per lo più gruppi di giovani che, nella lotta per la liberazione della propria terra dallo Stato di Israele, pongono alla base la riappropriazione delle libertà individuali per una rivoluzione che sia anche culturale: dalla libertà per i/le prigionieri/e politici/che  alla libertà di parola e di movimento, dalla libertà di partecipare alla lotta politica all’autodeterminazione delle donne. Continua a leggere

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